Di ritorno da poco dal mio primo viaggio a Cuba molto volentieri pubblico la mia recensione e le mie impressioni di viaggio,sperando di dare un utile contributo alla community.
Sono un viaggiatore abbastanza esperto,ma mai mi ero recato a Cuba ed ho ascoltato molto volentieri i precedenti consigli rivelatisi assai utili,utilizzando anche alcuni indirizzi e nominativi fornitimi. Ho affrontato il mio viaggio con molta umilta' conscio di essere,per i Cubani,ne' piu' ne' meno che un dollarone ambulante da cui trarre profitto...
Prudente e con gli occhi aperti ma sempre convinto di essere in un paese sicurissimo da affrontare con relax.
Pensavo di spostarmi,ma la capital mi ha stregato per la sua bellezza e,a parte qualche escursione marina, non ho girato l'isola.Lo faro' in una prossima occasione perche' certamente il viaggio merita di essere rifatto.
CONSIDERAZIONI IMPORTANTI GENERALI
1) COSTO Mi sono reso conto che L'Avana e' una citta' davvero cara per un turista: ero convinto di poter spendere attorno ai 100 cu al giorno,ma ,senza troppi sforzi,stando nella capitale si sfora facilmente il budget.I primi giorni ,preso da una certa euforia tra spostamenti in taxi,cene offerte,locali,ragazze mi sono trovato senza far follie a spenderne anche 150. Certamente con una "novia" fissa ,spostandosi sui taxi collettivi e mangiando qualche volta in moneta nacional,ecco che le cose cambiano e si puo' facilmente stare in quella cifra,anche meno,ma ci vuole un po' di attenzione ed attitudine a non ragionare sempre da turista.
2) CASE PARTICULAR: secondo me sono un falso problema.c'e' una vasta scelta attorno ai 30 cu (ognuno poi ha le sue preferite ed io mi son trovato splendidamente in una gia' qui consigliata)Basta parlar chiaro con la duena e
spiegare chiaramente che si intende portare ragazze in camera.Vedendosi arrivare un italiano,pensate che gia' non sian preparati???Chiaro che se dovessero fare difficolta'(ma non credo proprio) si opta subito per un'altra soluzione.Se pero' vi faranno notare che la ragazza deve venire col carnet qui non potrete che dar loro ragione: i documenti della ragazza da dare al dueno sono per la nostra sicurezza.Portarsi una ragazza in camera senza documenti significa aver a che fare o con una ladra potenziale o con chi ha grossi problemi con la polizia! Non correte il rischio e se la ragazza vi fa' storie...rispeditela al mittente! (a me e' successo una volta)
3)CELLULARE: qui ho raccolto pareri discordanti,ma ,secondo me, la SIM cubana e' assai utile. Non costa poco: il noleggio costa 3 cu al giorno e telefonare 1 cu ogni 3 minuti,pero' per me e' stata molto comoda.Ormai tutta la gnocca ha il cellulare(anche se non lo caricano quasi mai) e lasciare il vostro numero a chi vi interessa significa poi poter pianificare bene la vacanza.Io utilizzavo molto gli sms e spesso ricevevo chiamate a mio carico(le telefonate che iniziano e finiscono con 99) Il cellulare mi permetteva di spostare la gnocca a mio piacimento e pianificare gli incontri con facilita'.Certo occorre un po' di spagnolo basico e bisogna stare attenti a non trasformare il telefono in un centralino:la gnocca e' insistente parecchio! C'e' anche un sistema meno costoso: fare acquistare la SIM dalla novia e poi,al limite,regalargliela alla fine della vacanza,risparmierete qualcosa.
4)GNOCCA ( e qui cerchero' di essere attento perche' e' la parte piu' importante) io la dividerei nelle seguenti categorie:
a) jiniterea ovvero pay: saranno praticamente tutte le ragazze piu' carine e comunicative che incontrerete con facilita' e che sono interessate solo ai vostri soldi.Stando la crisi ed una certa penuria di turisti anche loro avranno una certa tendenza ad aspirare di diventare le vostre "novie" durante il vostro soggiorno. Mi son parse tutte molto abili nello sbattere gli occhioni e raccontare storie piu' o meno credibili: non fatevi suggestionare troppo,prendetele per quello che meritano( e certe valgon parecchio per la loro bellezza) ma siate sempre ben padroni del gioco che dovrete aver sempre ben saldo nelle vostre mani.Chiaro che tuttocio' e' scontato per i gnoccatravels incalliti,ma trovo che un giovane inesperto possa cader nella trappola.Personalmente mai fidanzato per piu' di due giorni!!!C'e' troppa merce in giro!
b) indipay....per me a questa categorie appartengono solo le studentesse o
ragazze che hanno un lavoro certo e certificato(commesse,cameriere,receptionist..ecc) Sono interessate di solito al turista,non pero' a tutti ed a certe condizioni.Accettano volentieri generosi rimborsi taxi e regalini.Hanno una forte tendenza a diventare le Vostre novie e un invito in Italia per loro equivarrebbe ad un terno al lotto!
c)free...non sono interessate ai vostri soldi,non le conoscerete dunque...eccezioni ci saranno certo ma non le conosco!
4) CONTRATTAZIONI CON LA GNOCCA: so bene che molti di Voi storceranno il naso ma francamente non ho mai avuto problemi.Ho dovuto contrattare(anche a lungo ma era un gioco) con una gran gnocca al Dos Gardenias,ma in tutti gli altri casi non c'e' stato bisogno: ho sempre spiegato che certo mi sarei comportato da gentiluomo e che avrei anche fatto loro un simpatico omaggio,ma sempre ho gestito la cosa a fatti ...compiuti. Il "rimborso taxi generoso" e il regalino che mi ero portato(intimo cinese carino comprato per pochi euro per lo piu') le hanno lasciate credo sicuramente soddisfatte.Se poi aggiungete la libidine nel vestirle e svestirle con l'intimo capirete anche
la mia soddisfazione.!!!
5) LOCALI: non li amo in generale e non mi piace l'assalto all'arma bianca dell jinitere. Sono stato alla Casa di Galliano e son scappato dopo mezz'ora. Al Salon Rojo nenache si respirava e la situazione era quasi imbarazzante (rapporto 15 :1 gnocca turista), dopo venti minuti mi sono portato pero' a casa una bella perla . Diverso pero' il discorso Das Gardenias: locale migliore e gnocca stellare: quello a mio parere vale la pena!
Mi riprometto una descrizione piu' dettagliata e cronologica dei miei 15 gg se a qualcuno interessa.
Non ho certo la pretesa di aver svelato nulla di speciale.Sono le mie impressioni e son ben lieto di scambi di opinioni e critiche da tutti ! Buona gnocca cubana a tutti! Ne vale la pena non c'e' dubbio!!!!!!!!
Bella recensione, scritta bene... Continua pure con maggiori dettagli! Tipo qualche posto che raccomanderesti per mangiare? E sono contento che ti sei divertito a cuba!
si vero l indipay o cmq chiche no jenetere prof non e facile ho notato anche io che molte chice come le saluti o cerchi di attaccare bottone manco si girano molte volte
@vittorioco , concordo con la recensione ben fatta. Devi ammettere che la spesa per i trasporti incide.....per questo io opto per una casa tra Havana Vieja e Cientro Havana. Giusto per dare un'altra info la sim Cubana costa 30 cuc.
Ciao ragazzi, questa mattina ho ricevuto via mail l'ok dalla redazione per entare
nella community...nella mia vita ho fatto qualche giretto per fighetta in romania, marocco ecc ma come Cuba (notare che l'ho scritta con la maiuscola) non ho mai visto nulla, non tanto per la bellezza delle indigene quanto per tutto l'insieme...mi è piaciutata talmente tanto che ci sono stato 4 mesi in più viaggi e ho scritto qualcosa di più che una recensione, praticamente
un libro, l'ho chiamato "le figlie di fidel", penso che varrebbe la pena di dargli una occhiata...
ciao a tutti.
Havana, ore sette e trenta.
E’ mattino presto, dopo aver pagato cinque dollari
a un tassista muto (non ha detto una sola parola durante
i quattro chilometri che portano dalla casa di Blanca
Maria alla stazione degli autobus) mi trascino senza
voglie, senza energia verso gli uffici della compagnia
di trasporti cubana.
Chiedo un biglietto per Cienfuegos.
Non ho voglia di fare discussioni.
Ho dormito una sola notte all’Havana, ho ancora i
postumi di un volo intercontinentale interminabile.
Sono sveglio perfettamente per via del fuso orario
ma sono stanco, privo di forze;
le situazioni mi scivolano addosso pretendendo
da me un segno di vita che non riesco ancora a dare.
La ragazza cubana che è al di là del vetro, troppo attiva,
troppo loquace per i suoi quindici dollari di stipendio
mensile, mi spiega, ma soprattutto vuol cercare di
convincermi che se non ho la prenotazione non posso
salire sul pullman ed è prontissima, nell’indicarmi dei
tassisti “particular” davanti agli uffici.
So già che sono pronti a portarmi a Cienfuegos ad
una cifra sei volte superiore al biglietto del pullman.
Guardandola lentamente negli occhi, e pensando al
pullman che, nonostante sia mezzo vuoto, non sali
se non stai al loro gioco, comincio ad assaporare la
sensazione di non essere più in Italia.
Sono a Cuba.
Non ho voglia di fare discussioni.
Non ho voglia di pensare a quanti dollari si mette
in tasca per ogni turista che riesce a far
salire sulla macchina dei suoi amici; non me ne frega
un cazzo, sono a Cuba.
Il pullman per Trinidad - Cienfuegos è in ritardo di
un’ora, dicono, poi quando arriva arriva .
Lo sapevo già che sarebbe stato in ritardo e mi domando
perchè sono voluto arrivare in orario.
chiedo a un paio di tassisti semplicemente “cuànto
dinero por Cienfuegos ? ”
Si sbrigano a spiegarmi che dipende da quanti
viaggiatori siamo, due...quattro; da quanto è grande
il bagaglio... mi domando perchè gliel’ho chiesto, lo
sapevo già.
Ci sono una coppia di norvegesi con la pelle che
mi ricorda uno yogurt al mirtillo; sui quarantacinque
anni, con i classici dieci chili di troppo, tipico di
quasi tutti gli occidentali e con le rughe della fronte
classiche di tutti gli occidentali.
Se fossi in Europa non riuscirei a vederle, si
confonderebbero in mezzo a tutte le altre.
Qui guardo le persone straniere e riesco a vedere
dentro di loro; ogni ruga mi racconta una storia,
mi descrive il loro modo di vivere; il loro passaggio
sul pianeta terra è sulla mappa che si portano incisa
sulla faccia.
Vedo le preoccupazioni, lo stress, le insoddisfazioni,
le frustrazioni... in Italia mi chiederei come mi vedono
gli altri, visto che io le noto certe cose, mi farei la
paranoia di sapere; qui no, non me ne frega niente,
la permanenza in questo posto è troppo breve e troppo
magica perchè possa farmela rovinare da qualche sega
mentale.
I norvegesi hanno lo stesso problema: arrivare Cienfuegos
Trascino me stesso e i bagagli fuori dagli uffici,
non parlano spagnolo e tanto meno l’italiano;
in un tormentato francese scambiamo qualche
informazione, sono gentili e provano a fare i simpatici
ma non ne ho voglia, sono ancora troppo stanco.
C’è anche un italiano con lo stesso obiettivo: Cienfuegos;
sui quaranta, abbastanza abbronzato,
accento leggermente meridionale, discreto fisico,
meno rughe, molte meno.
Penso sia un gran figlio di puttana, ma non veterano
di Cuba, è abbastanza sicuro, deciso, ma si sbatte
troppo per essere uno che sa come muoversi.
Lascio a lui il compito di trattare con i tassisti.
Tanto lo so già che partiranno in quattro, il cubano
che guida, i due norvegesi dietro e l’italiano davanti,
con metà del bagaglio nel “maletero” e l’altra metà
in braccio.
Se fossimo in cinque risparmieremmo tutti qualche
dollaro e il cubano guadagnerebbe un po’ di più, ma
non mi va. Penso come sarebbe il viaggio in cinque
su quella macchina senza ammortizzatori, con
i due norvegesi che cercherebbero di comunicare
in qualche modo e l’italiano che mi racconterebbe
la sua vita, magari lamentandosi della moglie che lo
ha lasciato e del lavoro che ha perduto, tralasciando
l’unica parte interessante: lei se n’è andata perchè
lui si è fatto sei mesi di carcere per traffico di coca
oppure per le cinghiate ricevute al rientro a casa
dopo l’ennesima sbornia.
Non saprò mai niente della vita di quell’italiano;
pochi minuti dopo partono in quattro alla volta di
Cienfuegos.
Io so che aspetterò il pullman.
Potrei offrire dei dollari alla ragazza dietro al vetro
perchè mi tenga un posto nel caso qualcuno rinunci,
facendo finta di non sapere che qualcuno lo farà
sicuramente, ma non ne ho voglia, evito di fare anche
questo piccolo sforzo.
Finalmente il pullman arriva, è come una zolletta di
zucchero buttata in un formicaio; la percentuale di
adrenalina nel sangue dei cubani sale.
Ogni movimento, per loro, in qualche modo equivale
a denaro; il pullman, con mia sorpresa, è quasi nuovo.
Il mezzo mi piace, lo voglio prendere; ritorno dalla
cubana al di la del vetro e infilando cinque dollari
sotto lo sportellino le dico “...por la prenotaciòn...”.
Con altri venti dollari ritiro il mio biglietto per Cienfuegos.
Il pullman assomiglia a uno di linea europeo, è pulito
e ben tenuto.
Sistemo il mio bagaglio a mano e mi struscio con la
schiena contro il sedile alla ricerca della posizione
meno rovinosa per le mie ossa.
Salgono cubani, turisti, coppie con la guida in mano,
chi con le bermuda color militare, chi con gli occhialini:
le coppie in quanto tali, sono tutte uguali per me, hanno
lo stesso sguardo, come se la vita fosse tutta lì, con
dentro agli occhi una sensazione di leggera rinuncia
a un mondo più coraggioso.
Sale una cubana di una ventina d’anni e si ferma due
file di sedili davanti a me, ha una tutina di “Danza”
color salmone, intimo che esce fuori griffato Armani
e una montatura di occhiali quasi trasparenti molto
grande .
La sua bellezza è il capitale più grande che ha e,
presumibilmente, anche l’unico.
E’ molto bella, e lei pensa, da buona cubana, che
tutto il mondo sia innamorato di lei, tutto il mondo la
desideri.
Forse è così o forse no, forse le piace solo pensare
che sia così.
Le è bastata una mezza occhiata per capire che
sono tra i “pochi” che non si innamorerebbero di lei,
e sa che io so, che con venti dollari molti l’hanno
già avuta, e il mio totale disinteresse la reclude
in uno stato di inefficienza mentale e il tutto si amalgama
in un perfetto equilibrio di sensazioni.
Nessun tentativo a vuoto da entrambi le parti, nessun
approccio sgraziato, qui siamo a Cuba e nessuna
energia deve essere sprecata.
Finalmente si parte.
Alla mia destra, lato finestrino, c’è un grasso cubano
già sudato al mattino presto; deve essere abbastanza
benestante a giudicare dai vestiti e l’orologio che
indossa; non fa il minimo cenno di voler comunicare;
perfetto.
Alla mia sinistra c’è un posto vuoto e vicino al finestrino
una donna sui trent’anni anni, bionda, leggermente
in carne, con una gonna a fiorellini che per il
suo fisico forse è qualche centimetro troppo corta.
Non è bellissima ma ha due occhi chiari che esprimono
mille sensazioni.
Ci guardiamo per alcuni secondi come se provassimo
una certa attrazione ma come se tutti e due non
avessimo nessuna voglia di parlare.
Io continuo a strusciarmi contro il sedile e dopo pochi
minuti sono completamente addormentato.
Dopo un centinaio di chilometri riprendo conoscenza,
mi stiro come un gatto che si è appena sveglia
to e sento una piacevole sensazione in mezzo alle
gambe, come se la punta del mio pene fosse diventata
ipersensibile e avesse una certa voglia di particolari
attenzioni.
Inavvertitamente giro la testa verso sinistra e le gambe
della signora bionda vicino al finestrino diventano
oggetto di desiderio.
Lei si volta verso di me e i suoi occhi mi danno una
scossa alla colonna vertebrale.
Avrei veramente una certa voglia ma siamo
su un pullman e di iniziare una conversazione per poi
rivederla chissà quando, a Cuba, sarebbe veramente
assurdo.
Stranamente è una giornata nuvolosa, la luce è
particolarmente fioca, il che mi aiuta a richiudere gli
occhi cercando di riaddormentarmi per tentare di
rimuovere qualsiasi pensiero rivolto alla mia avvenente
compagna di viaggio.
Provo e riprovo ma non riesco più a chiudere occhio
e le gambe della bionda signora appoggiate sul
sedile di fronte e leggermente divaricate vicino a me
sono diventate un tormento; ogni volta che mi giro e
incontro il suo sguardo mi sento come un ragazzino
di sedici anni.
Ogni occhiata di quella donna è una scarica ormonale
sulla punta del mio cazzo.
Sono sopra un pullman, cazzo! Cosa posso fare?
Comincio a pensare: e se mi sedessi vicino a lei?
Cosa potrei fare? Niente...
Vaffanculo! Sono a Cuba, perchè tanti pensieri?
Mi alzo in piedi e tiro fuori dal bagaglio un pacchetto
di Marlboro; con mosse quasi studiate mi giro
verso di lei, la guardo, lei ricambia il mio sguardo, le
chiedo se ne vuole una, mi risponde sorridendo che
non fuma, ma ritrae le gambe dal sedile di fronte in
segno di invito a sedermi vicino a lei.
Scambiamo le solite parole di rito, lentamente, senza
fretta; ha una bella voce calda e due magnifici occhi.
Mi racconta che va a Trinidad da un parente...mi fa
mille domande, poi la conversazione si fa sempre
meno interessante; è come se i nostri interessi si
spostassero su altre cose, è come se involontariamente
desideri inconfessati venissero a galla.
Probabilmente è la debolezza del viaggio, oppure il
pensiero fisso di cosa potrebbe provare lei, sarà la
mia fantasia che comincia a volare, ma mi sta venendo
duro.
Non si parla più e non ci si guarda negli occhi per
non aggredirsi, si ascoltano le nostre vibrazioni...
Lei riappoggia le ginocchia sul sedile di fronte, le
nostre gambe si toccano per un attimo, ho un fremito.
Riappoggio volutamente con lentezza la mia gamba
sinistra contro le sue, con leggerezza, fermo il movimento
della gamba e ascolto le sue emozioni, la
sento respirare più profondamente, è una sensazione
quasi impercettibile ma la sento.
L’idea di pensarla disponibile, eccitata come me, in
questa situazione paradossale mi risveglia completamente
i sensi, mi sento rosso in viso, ho le mani
umide...
Rimango fermo a gustarmi l’attimo per alcuni secondi,
poi so che devo azzardare di più.
La mia mano sinistra le sfiora lentamente l’esterno
della gamba, lei mi guarda con gli occhi quasi socchiusi
e sorride.
Ho il sangue al cervello.
Con i polpastrelli della mia mano sinistra provo a
palparle la coscia e rimango in attesa di una sua
reazione... lei gira lo sguardo verso di me, non c’è
traccia di sorriso, il suo è uno sguardo serio, pieno di
voglia.
Leggo nei suoi occhi disponibilità e curiosità... siamo
su un autobus.
Mi giro di schiena verso il corridoio e con la mano
destra le sfioro l’interno della coscia, lei mi guarda
e mi apre un po’ di più le gambe, io mi sposto meglio
su di lei; intravedo le mutande bianche, dei peli
biondi fanno capolino dai lati.
Mi guardo intorno per vedere se qualcuno guarda,
ma ognuno è preso dal suo torpore.
La mia mano comincia a sfiorarle la pelle della coscia
sempre più su; arrivo a sentire i peli ai lati delle
mutande, e lentamente scorro le unghie sulle sue
mutandine e poi più insistentemente con le dita.
Lateralmente le entro sotto le mutande con due dita,
guardo ancora che nessuno veda e altrettanto fa lei.
Comincio a massaggiarle il clitoride con una certa
energia guardando le espressioni del suo viso fino a
quando sento il suo respiro cambiare e poi rilassarsi.
Mi toglie la mano e socchiude un po’ le gambe, ha
uno sguardo lucido, mi guarda negli occhi e si rilassa
sul sedile.
La guardo per pochi secondi, poi le prendo la mano
e me l’appoggio sulla patta; sempre guardandomi
negli occhi con la mano mi sbottona i jeans.
Alza lo sguardo intorno lentamente per controllare
che nessuno veda e mi infila una mano nei pantaloni,
me lo tira fuori e guardando prima lui e poi me negli
occhi, fa scorrere la sua mano su e giù un paio di
volte, molto lentamente, si riguarda intorno si avvicina
con la testa e se lo infila in bocca.
Ha una bocca caldissima e morbida, venti secondi
dopo sta ingoiando.
Si tira su, mi sorride facendosi passare un dito intorno
alle labbra.
Sento la stanchezza che se ne va, non ho voglia di
niente, ho solo voglia di essere lì dove sono.
E’ dicembre ma a me sembra primavera.
L’energia se ne è andata e io non ho voglia di approfondire
nessuna conoscenza...
Torno a sedermi al mio posto vicino al grasso cubano
sudaticcio che non ha smesso di dormire.
Mi rilasso e penso che è bastata una notte a l’Havana
e un viaggio di tre ore su un pullman in questo
mondo per allontanarmi dallo stato mentale in cui
ero caduto.
Ci fermiamo per un caffè a una stazione di servizio.
Una leggera brezza mi accarezza le braccia e per
un attimo la mia mente ritorna in Italia, l’ho lasciata
dopo la metà di dicembre, il termometro segnava
meno dieci gradi.
Un carico eccessivo di lavoro, in Italia, mi stava massacrando;
entro la metà di dicembre dovevo chiudere una
serie di impegni.
Ero e sono praticamente ancora in ritardo su tutto e
con tutti.
Il pensiero di non farcela, di non rispettare le tempistiche
e doverne subire le ripercussioni mi turbava.
Tre giorni prima ero perennemente angosciato,
dall’ansia, mi alzavo al mattino già stanco.
Correvo tutto il giorno e, se mi fermavo a pensare,
non capivo più perchè stavo correndo, non sapevo
più dove stavo andando ma continuavo a correre.
Ricordo poco prima di partire, la prima pagina luccicante
di un depliant in bella mostra dietro una vetrina
di un centro commerciale, ferma per un attimo la
mia mente. Una coppia felice, principalmente vestita
di sole, ride correndo sul bagnasciuga mano nella mano.
Una natura forte e selvaggia li circonda.
Il mare è degno delle migliori cartoline d’agosto.
Ma è il sole che fa la parte del leone,
un sole che amo e che fa sentire la sua presenza
in quel posto magico con tutta la sua forza.
Rimango in silenzio per qualche secondo a guardare
il lucido della carta sperando di venire abbagliato,
di venire accecato da un riflesso così forte da dover
chiudere gli occhi, da poterne sentire il calore.
Un calore che mi scaldi il cuore, che guarisca la mia
anima da qualunque malattia.
Quel sole è soltanto una manciata di inchiostro giallo
e arancione spalmato su un pezzo di carta: una serie
di puntini cromatici distribuiti ad hoc su una superficie bianca.
Questo gioco di pixel non è nient’altro che un inganno
per gli occhi... ma l’immagine che ne scaturisce,
riesce a fermare la mia mente.
Mi suona il telefonino, freno il gesto istintivo di
avvicinarlo all’orecchio schiacciando il tasto verde.
Evito di rispondere un pronto che avrebbe il sapore
di un “eccomi! ci sono!, sono a disposizione”, di un
“comandi !” detto da una burbetta al suo secondo
giorno di naja, che non sa ancora come muoversi,
e pensa che chiunque abbia una decorazione sulla
spallina possa essere un comandante, qualcuno che
durante quell’anno possa disporre di lui a piacimento,
sputargli in faccia ordini inutili ai quali non avrebbe
possibilità di replica.
Lascio suonare il telefonino, lo guardo squillare e
illuminarsi ripetutamente fino all’esalazione del suo
ultimo respiro.
Lo lascio morire senza intervenire.
Voglio guardare ancora un po’ il depliant.
C’è scritto: “Cuba, una fabbrica di energia positiva”
Mai slogan mi sembrò più azzeccato in quel momento.
Fisso quell’immagine e vorrei estrapolare da essa le
sensazioni che ho provato in quel posto magico.
Vorrei sentirne gli odori, i profumi, vorrei vedere lo
stesso taglio di luce, vorrei sentire il mio cuore rallentare
il battito fino a unirsi all’unisono con il mondo esterno.
Vorrei girarmi e vedere ragazze spensierate con la
luce negli occhi che ascoltano il ritmo della vita che
gira intorno a loro, disponibili a prendere dalla vita
ciò che essa sta donando loro, per poi restituirla rinnovata
e forte alla vita stessa in uno scambio senza fine.
Provo ad avvicinare il depliant al mio naso, lo annuso
lentamente, sperando di sentire un profumo conosciuto.
L’aria di Cuba ha odore di petrolio e del fumo di un
falò portato dal vento.
Un falò che sta bruciando arbusti secchi, misti ad
altri arbusti verdi che scoppiettano un pò e fanno
fatica a incendiarsi ma che liberano nell’aria il loro
contenuto di essenza profumata.
Il mio depliant odora solo di inchiostro.
Lo piego e lo ripiego su sè stesso e me lo infilo nella
tasca posteriore dei jeans come se fosse un’icona
sacra, come se averlo in tasca potesse diventare
panacea ai miei mali.
Ma quali sono i miei mali?
Ho quarant’anni anni, sono in salute, faccio sport,
vado a sciare, un pò di piscina, un pò di tennis.
Ho quattro amici giusti e un paio di signore disponibili
a sfilarsi la gonna quando voglio.
Non sono ricco ma ho un lavoro che mi permette di
passarmela nemmeno poi così malaccio.
Allora perchè sto male?
Forse lo capisco pagando il libro e la dolcevita che
ho appena comperato alla cassiera con la carta di credito.
Mi sento trattato come un pacco postale.
La ragazza dietro la cassa compie il suo iter nevrotico
senza curarsi minimamente di chi c’è dall’altra
parte: sono come un robot che ha speso dei soldi e
lei deve fare le operazioni convenzionali, deve provvedere
che tutto sia a posto perchè l’automa possa andasene.
Non ha tempo per guardare in faccia le persone, non
ha tempo per coglierne le sfumature, per prendere
da chi le sta davanti il meglio, per sentirsi parte integrante
di un mondo fatto di persone.
La ragazza è un ingranaggio del meccanismo come
lo sono io, nient’altro che un numero.
Non ha tempo, non ha tempo, deve fare tutto di corsa,
un altro robot dietro di me sta realizzando che
la mia operazione è quasi finita e allora si avvicina
sempre di più alla sua postazione di turno, si sta
avvicinando sempre di più, ha appoggiato la sua
merce sul nastro della cassa, è vicinissimo a me!
Posso quasi sentire i battiti del suo cuore contro
il mio fianco, ormai è qui e io ho finito le mie operazioni,
devo catapultarmi fuori, oltre la linea gialla!
Presto! Presto!
La ragazza alla cassa non ha tempo per me, non ha
tempo per quello dopo di me e quello dopo ancora.
Avrà tempo per qualcuno? Avrà tempo per se stessa?
Chissà cosa direbbe se una volta alla cassa provassi
a non ricordare più il numero del bancomat, provassi
a digitare dei numeri a caso fino a quando non si blocca.
Poi mi piacerebbe provare a tirare fuori il contante,
tutti biglietti di taglio piccolo e una manciata di
spiccioli che, gettati maldestramente cominciassero
a correre dritti verticali girando su sè stessi per tutta la cassa.
Qualcuno anche sul pavimento: doverlo rincorrere
zigzagando tra la coda dietro di me, cercare quello
finito tra i piedi della signora... chiedere di spostare il
carrello perchè ne è finito uno sotto...
Contare e ricontare almeno tre volte senza mai arrivare
alla cifra a caratteri rossi che appare sul display
della cassa, andare molto vicino alla cifra richiesta
ma abilmente non centrarla mai.
Vorrei poter lasciare tutto lì e andarmene lentamente
salutando tutti come vecchi amici, e tra uno “scu
satemi, scusatemi ancora”, provare la sensazione di
avere il cuore che comincia a ridere.
Chissà se alla ragazza apparirebbe sul viso uno
sguardo diverso, chissà...
Una volta uscito vorrei perdermi nel parcheggio del
centro commerciale, girovagare nel sotterraneo alla
ricerca della mia auto non ricordando dove l’avevo messa.
Vagabondare senza il minimo stress addosso, senza
sentirmi un’idiota perché non ho guardato in che
settore, a che piano l’ho messa, passeggiare per il
parcheggio alla ricerca della macchina persa,
e qualunque cosa succeda poter ringraziare il mio Dio
che ho un’altra giornata bellissima da vivere.
Perchè non posso vivere così, perchè?
Paradossalmente ai miei quasi inconsci desideri,
la macchina ricordo perfettamente dove l’ho messa,
e purtroppo ricordo anche di avere un appuntamento
al quale rischierò di arrivare in ritardo.
Imbocco l’autostrada e ad una velocità di trenta /
quaranta chilometri orari oltre il limite consentito cercando
di recuperare del tempo per essere il più puntuale possibile.
Mi squilla il telefono e inizio una discussione assurda
con un mio fornitore; l’illogicità di chi sta dall’altra
parte, la scorrettezza del suo comportamento mi fa
salire il sangue alla testa, mi squilla l’altro telefonino
a cui rispondo velocemente con un -ti richiamo io! -
Ho una sigaretta accesa tra le dita, una discussione
accanita sul viva voce e sto andando a centosettanta all’ora.
Un idiota di fronte a me invade la corsia senza mettere
la freccia, freno bruscamente riuscendo a non tamponarlo.
Sono in ritardo all’appuntamento, arrivo e mi giustifico
senza sforzarmi di essere troppo credibile, il mio
contatto è abituato ad essere in ritardo e siccome
sono io che spesso devo aspettare lui, non mi fa
pesare di avergli fatto perdere tempo chiuso dentro
una macchina...parliamo delle nostre cose e ci salutiamo
con una rituale stretta di mano.
Mi rendo conto sempre di più di come il mio tempo
venga impiegato a sbrigare senza energie ed
entusiasmo faccende...tutto è stranamente avvolto
in una atmosfera ammortizzante, senza dolore né esaltazione.
Questa è la mia vita ? E’ così che voglio spendere il mio tempo?
Non lo so, mi sento come un guerriero con la lancia spezzata.
So che un giorno verrò divorato dai vermi, è l’unica
certezza che ho, mi domando se fino allora sia giusto
vivere “sbrigando faccende”, ad autoconvincermi
nel trovare soddisfazioni, nel progettare una vita
banale; non lo so se la mia vita è questa.
Al rientro a casa sono senza forze.
In bagno, nello specchio guardo l’immagine della
mia faccia invernale.
Mi butto sul letto vestito e sento lo scricchiolio del
depliant nella tasca posteriore.
Lo tiro fuori e realizzo che è arrivato il momento di partire.
Il bel pullman di linea si ferma bruscamente con il
solito rumore di rilascio dell’aria compressa dal circuito
frenante, sollevando un pò di polvere.
Arrivare a Cienfuegos in autobus per uno che non
c’è mai stato è un bell’impatto.
La stazione è un blocco di cemento enorme in perfetto
stile comunista, cagato in mezzo alla città; è una
struttura abbastanza grande ma completamente
priva di ogni accessorio che ne dia una parvenza
civile; sembra una struttura militare, potrebbe essere
qualunque cosa, una qualunque cosa fatta di
cemento, tutto è di cemento, non ci sono porte e
finestre ma le panche dove sedersi sono anch’esse
di cemento, strutturate come se dovessero reggere
passeggeri con il culo pesante cinquecento chili;
i corridoi che separano un ingresso verso i pullman da
un altro, in Europa sarebbero realizzati con un nastro
colorato retraibile; qui sono di cemento, paratie di
cemento spesse trenta centimetri che servono per
indicare una direzione anzichè un’altra.
La direzione è scritta con un pennarello su un pezzo
di cartone: non c’è nulla di strano se l’indicazione
non compare su un display luminoso, la stranezza è
che decine di persone sono imbottigliate in mezzo
a due muri di cemento per delle ore e poi quando
arriva il pullman l’autista si ferma dove cazzo gli pare
e tutti i passeggeri si spostano nel corridoio di fronte
all’ingresso del pullman che devono prendere.
Senza contare quando, dopo ore di attesa, arriva
l’addetto e con un filo di voce dice al primo della fila:
oggi il pullman non passa!
Tutto questo trascorre nella più normale quotidianità,
dove nessuno si lamenta, dove tutto questo per noi
sarebbe assurdo.
Cuba qualcuno l’ha definita un “luogo non luogo” e
Picasso quando ha visto l’Havana l’ha descritta
come una città surreale.
Non ho una definizione personale da dare a questo
posto, in alcuni momenti ho pensato di essere morto
e di essere finito in un girone dell’inferno, non come
semplice anima, ma come un personaggio dantesco
che gestisce le anime degli altri, qualcuno di altolocato
che ha il potere di gestire le sofferenze dei malcapitati.
E la cosa non mi dispiace affatto.
Non ho voglia di prendere un taxi per coprire i due
chilometri che separano la stazione dalla casa di Harberto.
Conosco la strada, il bagaglio è un pò pesante ma
non ho fretta, la fatica fisica per me è un antidoto a
molte stanchezze mentali.
L’arrivo a casa di un cubano è sempre una festa,
soprattutto quando è cosciente che gli lascerai un
bel pò di soldi.
Sistemo le mie cose in una stanza da far invidia alle
nostre donne più ordinate e scendo le scale per
andare in cucina a prendermi da bere, ma mi ero
dimenticato della figlia.
La ragazzina (quando l’anno prima mi passava vicino
abbassavamo entrambi lo sguardo) era vicino al
frigo, adesso ha già sedici anni e ha messo su i chili
nei posti giusti, abbiamo riprovato entrambi ad
abbassare gli occhi ma questa volta nessuno dei due
c’è riuscito: lei non è riuscita a trattenere la vampata
di rossore in viso, io a nascondere una scossa alla
colonna vertebrale.
Si è congedata con un frugale “bienvenido” e abbassando
gli occhi si è chiusa nella sua stanza.
In casa di Harberto non si parla di politica, come in
tutti gli altri posti di Cuba.
E’ una delle poche cose che non devi fare: infilarti in
discorsi dove si va a scoperchiare certi metodi usati
dal sistema castrista.
Qui anche i muri hanno le orecchie, devi far finta che
tutto sia a posto se non vuoi avere guai e qui i guai
se arrivano sono grossi, ma veramente grossi.
I muri però molte volte sanno anche raccontare delle storie.
La casa di Harberto è una casa di cultura, lui è un
medico e l’ex moglie un ingegnere civile.
C’è una discreta libreria, considerato il fatto che ci
troviamo in un paese dove la cultura è vista come pericolosa.
Un collegamento ad Internet (illegale).
Mobili di prestigio tenuti perfettamente.
La polizia di regime in quella casa non deve entrare,
qualsiasi cosa succedesse ad un ospite, se sparisse
qualcosa, denaro o qualunque altra cosa, intuisco
che sono disponibili a risarcire personalmente, basta
evitare di fare denunce.
La polizia investigativa farebbe troppe domande.
Prima della caduta di Batista, la famiglia di Harberto
era latifondista, coltivavano il caffè sugli altipiani e
possedevano una trentina di schiavi.
Il cromosoma dello schiavista gli è rimasto nel
sangue, è più forte di loro, hanno una repulsione a
livello epidermico per chiunque sia di colore; quando
devono rivolgere una parola a un negro cambiano
istintivamente il tono di voce, diventano insofferenti,
arroganti e trattengono a stento l’ira solo per il fatto
che egli esista.
Il loro sguardo si fa duro, cattivo, il taglio della bocca
è rivolto verso il basso, l’unica cosa che potrebbe
dar loro soddisfazione sarebbe annusare la pelle del
negro, la pelle del negro che trasuda sangue.
Mi raccontano che i negri per le loro piantagioni li
compravano ad Haiti, oggi che non possono più
disporre di carne nera a loro piacimento, sono diventati
come dei vampiri che si devono dissetare, non
hanno pace se non si possono nutrire della sofferenza
di un negro.
Un negro per loro è come un’animale da cortile, un
gallo, un tacchino, forse, più precisamente, un porco.
Devi prendere da lui cosa ti può dare.
Mi spiegano come si trattavano i negri: dovevi ricordargli
tutti i giorni che tu sei il padrone, il padrone
della loro vita e non c’è modo migliore di ricordarglielo
che trovare prima o poi un pretesto per sgozzarne
uno, rigorosamente di persona, naturalmente quello
più sovversivo.
Quando con molta diplomazia riesco ad accennare
qualcosa sul sistema che regge il paese, prima
aspettano che parli io, poi con estrema educazione
rispondono nel modo che il sistema impone.
Solo se la mia conversazione è intelligente e sicura e
se le circostanze lo consentono (un ottimo bicchiere
di rum aiuta moltissimo), solo allora, talvolta esprimono
giudizi personali.
Non è tanto interessante quello che dicono, conoscendo
la loro storia, sapendo che il sistema ha tolto
loro tutte le proprietà, come a chiunque altro che
possedeva qualcosa, ed è abbastanza prevedibile
per un occidentale dotato di un minimo di realismo
intuire il loro pensiero.
Sono attratto dalle loro emozioni, mi nutro delle loro
sensazioni e quando si lasciano andare, mi parlano
del sistema con lo stesso impatto emotivo di quando
mi parlano dei negri.
Scorgo l’odio verso il sistema che regge il paese
nelle loro parole.
Vedo dietro ai loro occhi la sicurezza di un qualcosa
che ritornerà, “bisogna solo saper aspettare” mi
dicono e più l’attesa sarà lunga più la vendetta sarà
feroce.
Sono qui già da tre giorni e non è ancora successo
niente di interessante, un paio di giorni di mare,
un’aragosta da un chilo ma niente di particolare.
Oggi niente mare, girovago senza una meta precisa
tra il boulevard, la “carretera principale” e il parco.
Sto guardando con una certa attenzione un telo
gigantesco che riporta l’effige del Che, mi passano
vicino due ragazze cubane che mi dicono in spagnolo
-“ vuoi comprarlo ? ”- e prima che possa rispondere
qualcosa scoppiano a ridere e continuano con la loro
andatura spedita.
Una è bionda, molto carina e non sembra neppure
una cubana, avrà diciotto anni, l’altra è mora e avrà
circa venticinque anni.
Una mora e carina come lei, qui, la chiamano “trigheña”.
Lei è una cubana pura, bianca, non altissima
e porta a spasso con fierezza un culo da favola,
due occhi che ti scrutano l’anima; è sana come un
pesce e ride fragorosamente.
E’ la prima volta che vedo una che mi piace davvero.
A lato del parco c’è un locale che si chiama Palatino
dove suonano costantemente musica dal vivo, si
alternano gruppi musicali più o meno conosciuti che
si esibiscono rigorosamente senza amplificatori.
La musica che ne scaturisce, per usare un termine
“cubano”, è soave, non urta minimamente l’udito.
Alla sera sono al Palatino a bermi un rum, lì hanno il
Caney, lo puoi bere solo a Cuba, non viene esportato,
va giù senza grattare da nessuna parte, profuma
di cose antiche, di cose buone, non ti aggredisce
l’olfatto con tracce di solventi.
Per il momento lo bevo solo lì, non ho ancora cominciato
a farmi la scorta da tenere in camera da letto.
Quest’anno mi sono promesso di stare leggero, non
voglio ricominciare a tracannare rum direttamente
dalla bottiglia e cerco di non fumare una sigaretta
dietro l’altra, so che qui non fumare mi sarebbe impossibile:
è difficile ma possibile per me non fumare in Italia,
ma qui proprio non ci riesco e così non ci provo nemmeno.
Sono al secondo Caney ed ecco spuntare la “ trigheña” di oggi.
E’ come un lampo nel cielo stellato, ci guardiamo
senza sorriderci ma nemmeno aggredirci,
lei ha già capito che mi piace, le donne cubane
quando si parla di maschi hanno le antenne otto
volte più sviluppate di qualsiasi occidentale.
Farebbe qualunque cosa pur di piacermi ancora di più.
Farebbe qualunque cosa per farmi salire l’ormone al
cervello, la donna cubana vuole piacere e vuole essere
scelta in mezzo ad altre centomila, vuole gustarsi
la sensazione di essere sicura che il maschio che
prova qualcosa per lei, la scelga, che faccia qualsiasi
cosa per lei, solo per lei, non per un’altra più bella o
più brutta, più alta o più bassa, per lei, solo per lei.
Probabilmente hanno sviluppato questa sensazione
in risposta al fatto che sono in numero decisamente
superiore rispetto al maschio.
Assaporo il mio Caney e mi godo il privilegio di essere
un maschio.
La ragazza entra nel locale e si intrattiene per alcuni
minuti con la “cicha“ del barista.
Venendo verso di me nel dehor vede uno che ha già
passato la sessantina seduto al tavolo, lo saluta e si
ferma a bere con lui.
L’uomo è un turista, parla uno strano spagnolo, intuisco
che si conoscono molto bene.
Lui piuttosto anziano, lei giovane e piena di vita,
molto loquace e disponibile nei suoi confronti, il quadretto
che ne scaturisce non lascia scampo al mio pensiero.
A casa mia uno più uno fa due.
A Cuba una scenetta come questa può avere un solo
epilogo e un velo di tristezza scende a coprirmi l’anima.
E’ solo una jinetera.
“La cicha que me gusta es solo una puta.”
Lei si gira a guardarmi ma non raccoglie più il mio
sguardo, non riesco più ad alzare gli occhi verso di lei.
Mi sento privo di ogni desiderio e forse non ho più
nemmeno voglia di essere a Cuba.
Lascio qualche dollaro sul tavolo e mi trascino verso
casa, nè ubriaco nè felice.
Mi sento inutile.
Il giorno dopo è peggio ancora, sono ancora vuoto,
ho ancora nella mente gli occhi di quella ragazza
e la consapevolezza che si faccia scopare per pochi
dollari mi rende ancora più triste.
Ma si sa, le disgrazie non vengono mai da sole; sto
facendo colazione e improvvisamente fa capolino la
figlia del padrone di casa; è davvero bella e la sua
condizione mentale di altolocata e il sapere di sentirsi
desiderata da me avrebbe dovuto far scattare
qualche molla o per lo meno mantenermi in “tiro”.
Anche lei legge nei miei occhi un velo di tristezza e
di vuoto.
Se ne ritorna in camera sua senza parlare.
Questa sensazione di malinconia mi sembra esagerata,
ma in realtà mi rendo conto che l’unica scintilla
di vita l’ho incontrata per un’attimo negli occhi, nello
sguardo della trigheña.
Al pomeriggio dopo un lungo bagno comincio a sentirmi
un pò meglio.
Cuba è magia.
Passo a farmi un aperitivo al Palatino e scopro che
dopo che me ne sono andato la sera precedente, la
“ trigheña “ aveva chiesto al barista informazioni su di me.
Interessante ma non poi così tanto, era sempre una
puta, pensavo.
Cerco di scambiare qualche parola con il barista e
lui, in contrasto con ciò che pensavo di lei , me la
descrive come una cicha seria, una brava ragazza.
-E l’hombre di ieri sera? - Domando.
-Ah quello che parlava con lei seduto nel dehor, sulla
sessantina? Quello è un turista tedesco che ha sposato
una cubana e che vive di fianco a casa sua.
Vive qui da anni, si conoscono da mesi. - Mi risponde.
La “ trigheña “ non è una puta, anzi, e mi invita, quasi
per scommessa, a riuscire a trovare un turista che
l’abbia scopata.
In quel momento capisco come sono fatto, capisco
le cose che danno un senso alla mia vita, sono
perfettamente conscio di essere a Cuba, sono
consapevole che le storie vissute qui devono essere
prese per quello che sono, ma l’idea che quella ragazza
possa essere molto di più che una semplice bambola
da prendere quando si vuole, l’idea di poter vedere
in lei una donna con una sua dignità, una sua personalità,
di poter sentire in lei un cuore che batte, mi fa stare
bene e riempie la mia mente di sensazioni positive.
In quel momento ricomincio a pensare che la vita sia
una cosa meravigliosa, i cubani oggi li trovo particolarmente
simpatici, bianchi, neri, non me ne importa un cazzo.
Penso solo che la “ trigheña “ non è una puta.
Solo questo m’interessa.
Quattro salti e sono a casa.
Faccio una doccia, mi stendo sul letto, guardo il soffitto
e voglio essere lì dove sono...
L’idea che possa incontrare la “trigheña” e pensarla
come una ragazza pulita mi riempie di energia nuova.
Intanto la figlia sedicenne mi chiama da in fondo la scala
per dirmi che quando voglio posso scendere a cenare.
Mi sporgo dall’ultimo scalino e faccio finta di non capire,
lei fa due scalini e mi ripete che se voglio posso
cenare, faccio finta ancora di non capire e con un
dito le faccio segno di salire.
Faccio un passo indietro, le do la schiena, attendo
qualche secondo, mi rigiro e me la trovo davanti
sull’ultimo scalino.
Lei prova a ripetermi che la cena è pronta... le metto
una mano delicatamente sui fianchi, non riesce a
terminare la frase e mi prende la mano per fermare
le mie “buone” intenzioni, ma non è molto convinta,
sento un leggero tremolio, il suo cuore sta battendo
fortissimo, è rossa in volto, ha i capelli bagnati e sa
che non dovrebbe essere lì, credo che glielo abbiano
spiegato...
Ho il cuore in gola anch’io...
La tiro verso di me con la punta delle dita, come se
fosse solo un invito, si lascia dondolare verso di me,
le bacio piano le labbra, il suo respiro accelera, le
metto la lingua in bocca, è tenera e calda, sensuale
e vogliosa, mi succhia la lingua voracemente per
pochi secondi, ci separiamo, si precipita al piano di
sotto volando sulle scale e sparisce.
Dopo cena faccio un giro per il lungomare con un
paio di ragazzi di Firenze che ho conosciuto in
spiaggia, andiamo a bere qualcosa in un locale all’aperto
frequentato principalmente da cubani, l’Artex:
c’è musica dal vivo, il locale non è bellissimo, le sedie
sono di plastica dura, il bar è minuscolo e ti servono
bevande in bicchieri ancora grondanti acqua del lavaggio,
i cocktail sono preparati con approssimazione
ma si sta bene ugualmente, non ci sono impianti
acustici troppo sofisticati, la musica ti incanta
e mi godo la temperatura perfetta, indosso soltanto
una Lacoste.
Penso alla “ trigheña “ di ieri che stasera ho preferito
evitare di incontrare, penso ai suoi occhi scuri,
a quel culo meraviglioso e mi si accappona la pelle,
sarà la brezza, forse...
La serata trascorre lenta, i due amici sono simpatici,
hanno delle voglie, ci scherzano sopra con un piglio
ironico, non sono mai né pesanti né volgari.
Uno di loro, il più giovane, è la prima volta che viene
nel paese dei balocchi e si diverte come un matto,
non stiamo facendo niente di particolare eppure tutto
lo entusiasma, tutto lo sorprende piacevolmente,
trasmette questa sensazione anche a noi.
Cuba è magia, ripenso tra me e me.
Rientriamo a piedi facendo almeno tre chilometri
insieme, parliamo del più e del meno, scherziamo,
ridiamo.
Mi rendo conto che mi sono liberato degli stress che
il sistema di vita europeo comporta, il fuso orario
non mi dà più fastidio, e il mio stomaco si è quasi
abituato completamente a un’alimentazione diversa,
mi sento tonico come non mi sentivo da mesi.
Ho ancora voglia di scherzare, ho ancora voglia di ridere.
Ci salutiamo poche centinaia di metri da casa mia, la
serata è scivolata via lentamente, piacevolmente, mi
sono goduto ogni attimo.
Entro in camera, spengo la luce grande, accendo
una abat jour di vetro verde e arancione saldata con
il piombo, sfilo la Lacoste e mi accendo una sigaretta.
Penso come siano bastati questi pochi giorni lontano
da telegiornali, telefonini che squillano di continuo,
pubblicità che ci bombardano con tette siliconate
e culi ritoccati con Photoshop, per portarmi in
una dimensione diversa, fatta di cose semplici, vere.
Penso al culo della “ trigheña “ e mi addormento felice.
Il giorno dopo mi alzo di buon’ora, ho fame, divoro
un paio di uova strapazzate con prosciutto tagliato
un pò troppo spesso, tre banane, pane tostato con
miele, burro e marmellata, tracanno una caraffa di
succo d’arancia, caffè e mi accendo una sigaretta.
In casa c’è un pò di agitazione, sono arrivati altri due
ospiti canadesi che parlano solo l’inglese, hanno un
tono molto pretenzioso, Harberto è un pò teso.
Preparo la mia borsa per il mare e me ne vado.
Il mio amico taxista mi lascia come sempre in prossimità
della strada principale che fiancheggia la
spiaggia dopo aver percorso una stradina di sua
conoscenza.
Cerca sempre di evitare le strade più trafficate nella
speranza di non incontrare la polizia.
Per arrivare in spiaggia devo percorrere un tratto di
prato sabbioso ricco di vegetazione a me piuttosto
sconosciuta.
Anche se è mattino, il taglio di luce sull’acqua è già
abbastanza diretto, da l’idea di un sussurro che deve
svegliare il mondo e i raggi già così forti ti fanno capire
che la giornata sarà piena di vita.
E’ impossibile rimanere fermi in un mondo dove la
natura offre i suoi doni a piene mani.
La vegetazione è in movimento continuo, non ci
sono stagioni completamente morte dove nessun
frutto sia disponibile.
L’oceano poi è un pianeta diverso dal mare a cui
siamo abituati.
E’ meno arido, più generoso.
Quasi tutti i giorni ragazzi con grossi pesci in spalla,
appena pescati semplicemente con una fiocina,
passano in rassegna tutti gli ombrelloni cercando di
venderli a qualche turista per pochi dollari.
Tutto qui è generoso, basta fare quattro passi
nell’acqua e rendersi conto di cosa c’è nella barriera
corallina, metti la testa sotto e scopri il mondo marino,
non solo sabbia e poi ancora sabbia, ma una vita
che pulsa fatta di creature che si muovono senza
fretta, alghe di ogni tipo, piccoli promontori e insenature
visibili appena sotto la superficie, conchiglie e
pesci colorati...
In spiaggia non c’è ancora nessuno, il chiosco è
ancora chiuso.
Mi sistemo sotto a un ombrellone fatto con le foglie
di canna e mi addormento.
Quando mi sveglio ho in bocca il sapore di chi ha
respirato troppo vicino alla sabbia, nelle ossa la sensazione
di chi si è addormentato sulla rena troppo
umida, mi sento abbastanza rincoglionito.
Alla mia sinistra non c’è ancora nessuno, alla mia destra
un paio di coppie un pò stonate, composte da lui turista
e lei cubana, hanno preso posto sotto gli ombrelloni di canna.
Dal chiosco Ramon mi saluta sventolando una mano
al grido di: ITALIANO !
Ricambio il saluto urlando: Ramon! e con l’indice
puntato, prima sui miei occhi e poi sulla borsa appesa
sotto le foglie rinsecchite, gli chiedo silenziosamente
di dargli un’occhiata prima di allontanarmi per un pò.
Per rassicurarmi che avrebbe pensato lui alla mia
borsa, si mette una mano sul cuore e con l’altra volge
il pollice verso l’alto.
Ho un paio di bermuda e una felpa, decido di tenerla,
mi avvicino all’acqua a piedi nudi e accenno un passo
quasi di corsa verso un lontano promontorio.
Quando arrivo un’ora dopo, vedo in lontananza che
la mia borsa è ancora lì che penzola dall’ombrellone;
Ramon ha fatto buona guardia.
A Ramon non gliene fotteva un cazzo della mia borsa,
Ramon è un figlio di puttana.
Ramon è la persona più stonata che ho visto ai Caraibi.
E’ l’incrocio tra un barista unto e una vecchia puttana
che nessuno vuole più.
E’ la prima persona che vedo scorazzare sulla
spiaggia con dei mocassini neri e delle calze di lana
marroni, i pantaloni sono anche loro neri, quattro
dita troppo corti, ma lo vedi solo da vicino che sono
di color nero, sono talmente unti che da lontano in
certe zone riflettono il sole e talmente sporchi che
starebbero in piedi anche se non ci fossero dentro le
sue gambe rinsecchite, sembrano un paio di pantaloni
di lamiera.
Ramon dice sempre le stesse cose, fa sempre le
stesse battute a tutti, è simpatico per tre giorni, le
sue risate fragorose sono senza emozione, è solo un
rumore che esce dalla sua gola.
E’ una puttana che finge di godere e più è vecchia,
più deve sforzarsi di fingere.
Ramon si sbaglia regolarmente a darti il resto, se fai
il brillante e lasci correre, dopo un pò prova a non
dartelo più.
Vicino al mio ombrellone c’è un muratore bergamasco
sui quarantacinque anni, parla un italiano imbastardito
con il suo dialetto, persino io faccio fatica a capire cosa dice.
Ramon non capisce nemmeno l’italiano corretto, ma
quel dialetto bergamasco sembra che lo capisca
benissimo; lui parla e Ramon ride, più lui parla con
enfasi, più Ramon ride forte, più lui consuma, più
Ramon si tiene il resto.
Penso a quanti paia di pantaloni potrebbe comprarsi
solo con il resto mai restituito al bergamasco durante
la permanenza sull’isola.
Però a Ramon i pantaloni piacciono solo neri, neri e
usati, usati e sporchi.
Ci sono un gruppo di ragazze che girano per la
spiaggia, sono tutte mulatte, giovani e piene di vita,
tre di loro vengono verso di me: sono in gruppo si
sentono sicure, cominciamo a scherzare come se ci
conoscessimo da anni.
Sono molto simpatiche e ridono per qualunque cosa
coinvolgendo tutti.
Una di loro si chiama Aliuska, ha diciassette anni.
Mi faccio ripetere il nome, non me lo ricordo, la chiamo
storpiando una parola a caso e lei ride, me lo
scrive sulla sabbia, la richiamo e sbaglio ancora e lei
me lo riscrive nuovamente sulla sabbia; si avvicina a
tre dita dal mio naso e mi dice: tonto! tu eres tonto!
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e scoppiamo a ridere tutti e due.
Non ci guardiamo quasi mai dritti negli occhi, ma
quando mi giro me li sento addosso i suoi occhi,
quando lei si gira la guardo di continuo.
Non la desidero sessualmente nel modo più assoluto.
E’ bella, non bellissima, ben fatta, giovane, sana, e
soprattutto vivace, ma non vorrei possederla.
Penso che se avessi una figlia le assomiglierebbe,
ha delle movenze che mi sono familiari, ha delle
espressioni del viso decise, le leggo in faccia quello
che pensa, è come un libro aperto per me, e io lo
sono per lei.
Salta come una cavalletta da un ombrellone all’altro
ma finisce sempre sotto il mio, si siede sulla sabbia
vicino a me, ma dopo due minuti si è impossessata
completamente del mio asciugamano, vado in acqua
e arriva lei, vuole giocare, vuole fare i tuffi, mi sale in
spalla, se potesse mi salirebbe sulla testa.
Ci immergiamo sott’acqua e lei viene dritta verso di
me, nuota come un piccolo delfino, mi passa una
mano sul viso, mi sembra di vederla ridere sott’acqua.
Alle cinque mi chiede come rientro a Cienfuegos, le
dico che ho un “particular” con una macchina che
mi aspetta, sono in macchina da solo.
Le do un passaggio.
Il mio amico tassista mi aspetta orgoglioso appoggiato
alla sua Ford del ‘59 a petrolio, cinquemila di
cilindrata; è abbastanza ben tenuta.
Lei salta sul sedile posteriore di pelle verde lavorata a
mano e sparisce quasi in mezzo a tutto quello spazio.
Io chiacchiero delle solite cose col taxista, lei non
dice una sola parola durante il viaggio, la sento serena,
rilassata.
Alle prime case di Cienfuego sento la sua mano sulla
mia spalla e le sue uniche parole sono: pàrate a qui.
Il mio amico si ferma e lei salta giù salutandomi con
la mano.
Aliuska diventerà la mia ombra, per tutta la vacanza,
dove ci sono io, proverà ad esserci anche lei.
Rientro e fortunatamente non sento la presenza della
figlia in casa, so dalla ragazza che mi tiene ordinata
la stanza, che è andata qualche giorno da sua madre.
Meglio, penso tra me e me; una delle cose che ho
imparato qui è di non disperdere troppo le energie,
anche solo quelle propositive; qui le cose riescono
molto più facilmente che da qualsiasi altra parte ma
devi volerle veramente, devi essere concentrato su
cosa vuoi; e io ho la mente, il cuore e anche qualche
altra parte del mio corpo, tutti concentrati sulla
“trigheña “.
Dopo cena indosso qualcosa di mio gusto, mi faccio
la barba e mi incammino verso il Palatino.
Appoggiato al banco del bar non faccio in tempo ad
assaggiare il mio Caney, che sento arrivare una persona
in mezzo a tante altre, mi giro quasi di scatto,
ed è lei, io la guardo serio come per vedere la sua
reazione, lei ha un sorriso quasi nervoso: anche lei è
un pò emozionata, io abbozzo un ciao, lei si appoggia
al banco del bar, al mio fianco, ordina un caffè,
mi guarda, io sorrido e lei incomincia a parlare.
Il suo nervosismo le fa saltare le fasi di presentazione
tipiche dei comportamenti cubani, cerca di parlarmi
come se mi conoscesse da sempre, il suo tono
è carico di emozione di tensione.
Parla cercando di dare per scontato nella sua mente
di piacermi, cerca di autoconvincersi o perlomeno di
non avere dubbi sul fatto che lei mi piaccia.
E’ molto sicura ma vuole ostentare una maggiore
padronanza di se in modo eccessivo, tanto da cadere
nel tranello che lei stessa sta cercando abilmente
di evitare: tradire una qualunque minima insicurezza.
Parla di continuo, parla, parla e io la studio, non riesco
proprio a farne a meno.
E’ la persona cubana più nervosa e orgogliosa che
abbia mai incontrato.
Persino i tratti del suo viso tradiscono il suo orgoglio.
Non è come le altre, non è disposta a scendere troppo
a patti con la propria mediocrità per avere quello
che vuole.
O fuori o dentro l’inferno, nell’ultimo girone però,
quello più atroce.
Per lei vie di mezzo non ci sono.
Lei sa che non mi fermerò in quel luogo in eterno.
Lei sa che ha poco tempo per spaccarmi lo sterno
con un pugno, infilarmi una mano dentro e strizzarmi
il cuore facendolo sanguinare fino a quando non
smette di battere e, guardandomi negli occhi, strapparlo
e portarselo alla bocca per nutrirsi.
Nel gioco delle parti vorrà fare in modo che io mi
ricordi di lei per sempre.
Ma per poter scrivere il suo nome con un chiodo
arrugginito sul mio cuore, dovrà cimentarsi in un
balletto di sensazioni acute, per diventare eterna
nella mia mente, nella mia anima, dovrà spingersi oltre.
Non è la quantità che conta, ma la qualità, e la qualità
non si improvvisa, ci sono persone, davvero poche,
predisposte a scalare queste vette emotive e altre no.
Lei è un’eletta.
A Cuba c’è magia, per qualcuno questa magia è nera.
Alcuni la gestiscono e altri la subiscono.
La “trigheña” si chiama Yaneisy.
Se fosse nata seimila anni fa in seno al popolo dei
Maya, sarebbe stata la loro regina, la sacerdotessa
officiante al rito dei sacrifici umani.
Forse questa volta tocca a me, forse sono io la vittima
prescelta, penso.
Se anche fosse sono disposto a giocare fino in fondo.
A volte crediamo di poter decidere noi, ci illudiamo che
il destino si possa cambiare senza pensare mai che in fondo
potremmo essere solo delle pedine, parti dentro un
meccanismo più grande dove tutto è già stato deciso.
Perchè morire a vent’anni in una curva ?
Perchè non posso morire con uno spillone woodoo
piantato nel cuore?
A vent’anni muori in una curva per un calcolo
impreciso delle tue possibilità.
Il woodoo uccide solo mediante calcolo meticoloso,
gestendo forze occulte, sconosciute solo a noi
stupidi e increduli occidentali.
Yaneisy questo lo sa.
Siamo ancora al Palatino, io continuo a studiarla e lei
continua a parlare, parla ancora, ride e parla, non ha
una cultura vasta ma il suo taglio mentale è nobile.
Emana un’energia fortissima.
Ci sediamo ad un tavolo.
Arriva uno dei ragazzi toscani, si siede con noi, lei si
rilassa un pò, arriva anche la sua amica bionda, ci
presentiamo, si siede e ordiniamo da bere.
Yaneisy è alla mia destra, molto vicina, mi sorride di
continuo, io non penso di avere espressioni di gioia
sulla faccia, provo solo una sensazione di desiderio
inconscio, la voglio.
Prende una sigaretta dalla borsetta e appoggiando
una mano sulla mia gamba mi chiede di accendere.
Una vampata di calore mi raggiunge l’inguine: non
posso crederci, ho passato i quaranta e un semplice
contatto riesce a darmi delle emozioni così forti,
credo di essere diventato rosso in viso.
Voglio godermi anche quest’attimo lentamente, con
calma le accendo la sigaretta.
Ci salutiamo rimanendo intesi che ci saremmo rivisti
la sera dopo, più o meno alla stessa ora.
Cammino verso casa e una strana sensazione aleggia
dentro di me.
Entro in camera e mi infilo sotto la doccia, ho ancora
il suo profumo sulle mie mani, non vorrei lavarlo via.
Mi riannuso le mani e penso a lei.
Dal bagno posso vedere la camera da letto illuminata
solo dall’abat jour, vorrei rigirarmi e vederla inginocchiata
sul mio letto, nuda, inarcata come un giunco,
vorrei che voltasse il viso verso di me, vorrei
avvicinarmi lentamente, vorrei vedere sul suo volto
una disponibilità totale e la voglia di darsi completamente.
Vorrei...
Mi accendo una sigaretta e mi butto sul letto.
Il giorno dopo inizia sempre allo stesso modo, con il
prosciutto tagliato un pò troppo spesso.
Oggi non vado al mare, ieri ho preso troppo sole, ho
un appuntamento con un amico di Firenze alle dieci
e mezza al cafè del boulevar.
Caffè, sigaretta e chiacchiere.
Il mio amico ed io abbiamo lo stesso modo di osservare
le cose, le persone, le situazioni.
Ci piace pensare come si potrebbe per vivere in un
posto come questo, ipotizzando mille situazioni ma
sempre in maniera realistica, smontiamo e rimontiamo
discorsi che non sono poi così improbabili.
Mi racconta della sua vita a Firenze, è ossessionato
dal traffico, ha l’incubo dei parcheggi...
Ci proponiamo nuove sfide, ci chiediamo con quanti
dollari al mese riusciremmo a vivere a Cuba.
Andiamo alla ricerca di ristoranti per cubani, dove
puoi mangiare con un dollaro, (devi avere uno stomaco
pronto a tutto...); ma non è la spesa che ci interessa:
lo scopo è quello di riuscire a spingersi oltre
le apparenze, di riuscire a mangiare, dormire,
spostarsi con poco denaro, da stipendio cubano insomma.
Ci rendiamo conto che per noi occidentali sarebbe
quasi impossibile.
Una sfida quasi inaccettabile, durissima.
Parliamo di donne, parliamo di figa.
Anche lui è da qualche giorno che non batte chiodo.
Anche lui ha l’ormone abbastanza alto.
Arrivano due ragazzotte che lo conoscono, scherzano
con noi, mi rendo conto di quanto non mi interessino
e di quanto il sentimento sia ricambiato.
Ormai è pomeriggio inoltrato, quasi quasi mi avvio
verso casa e vado a dormire un paio d’ore.
Saluto e me ne vado.
Alla sera lo rivedo all’incrocio del boulevar, è tranquillo,
rilassato, si è fatto fare un “lavoretto di bocca”
dalle due ragazze.
Dove?-
Dietro a una siepe.-
Non mi risparmia i particolari e mi racconta la scena:
una in piedi che controllava che non arrivasse nessuno
e l’altra inginocchiata che glielo succhiava.
Quella in piedi ogni tanto si girava indietro a guardare
cosa facevano e allora quella che succhiava sembrava
che volesse dimostrarle quanto era porca: guardava
l’amica e cominciava a roteare la lingua intorno
alla punta in modo da poter essere vista, succhiava e
faceva scorrere la lingua fino contro i testicoli, l’importante
era che l’amica guardasse.
Forse sapeva che l’amica si sarebbe eccitata.
Effettivamente...
Non guarda più se arriva qualcuno, guarda in silenzio
la bocca della amica scivolare avanti e indietro,
lui si rende conto che forse è la più eccitata del
terzetto, le fa segno di avvicinarsi, le tira su la gonna
e infila una mano nelle mutande, è bagnata fradicia,
ha il clitoride gonfio.
Le prende una mano e glielo fa afferrare, è quasi paralizzata
tanto è eccitata, deve aiutarla a cominciare
a far scorrere la mano avanti indietro, prende il ritmo
e non si ferma più.
Quella inginocchiata rimane lì, adesso è lei che guarda,
storge la faccia aprendo bene la bocca, allunga
la lingua quando lo sente venire.
Il mio amico mi accompagna verso il Palatino ma
non entra, gli ho parlato della ragazza che ho conosciuto
e preferisce non creare interferenze, devo
essere concentrato su di lei, ci salutiamo e se ne va.
Arrivo a Palatino pochi secondi prima di Yaneisy.
Ha le scarpe con il tacco, una gonna stretta con lo
spacco, maglietta nuova, borsetta intonata con le
scarpe e trucco meticoloso.
Forse le labbra sono un pò troppo rosse.
Arriva anche l’amica bionda con un ragazzo.
Ci portano a bere sulla terrazza di un hotel.
La musica cubana aleggia ovunque, qui è più armoniosa
che in altri luoghi, beviamo un perfetto mojito
in un bicchiere pulito.
Chiacchieriamo della vita a Cuba.
Paghiamo qualche dollaro, ci alziamo e ci allontaniamo
dal tavolo, la bionda e l’amico sono alcuni metri
davanti a noi, non abbiamo nessuna intenzione di
raggiungerli.
La sento vicinissima, lei si aspetta qualcosa da me,
ce l’ho di fronte a trenta centimetri, ho un nodo in
gola, so che devo farlo, le dico che mi piace, mi
piace da impazzire! La tensione sale altissima, lei
si gusta lentamente l’attimo e con voce suadente
mi chiede di ripeterlo e io lo faccio con la voce che
vibra di emozione.
Ci baciamo e ci baciamo ancora.
Sento la tensione che se ne va e il pensiero che forse
mi sono cacciato in un guaio svanisce.
Non è ancora mezzanotte ma lei deve rientrare, a
casa c’è un bambino di cinque anni che l’aspetta,
glielo guarda sua madre fino alle undici, undici e
mezza, poi sua madre se ne deve andare.
Yaneisy non è sicuramente tra le pù belle di Cuba,
ma sicuramente è quella che mi piace di più.
Mi sento un Dio, ho baciato quella che volevo veramente,
la più bella per me.
Cammino mezzo metro da terra, sono fuori di testa,
ho voglia di festeggiare.
C’è una discoteca aperta a un paio di chilometri,
so che ci sarà qualcuno che conosco e accelero il passo.
Entro e subito vedo il tavolo dei due toscani, si girano
e mi salutano quasi con un urlo, mi sale l’adrenalina
nel sangue, ci abbracciamo come se fossimo
reduci da chissà quale guerra.
Come se avessimo segnato chissà quale gol.
Ci sono tre bottiglie di rum aperte sul tavolo, qualche
lattina di coca e tre ragazze che ballano intorno al tavolo.
Mi versano un bicchiere di Bacardi che trangugio al
volo, me ne verso un’altro e un altro ancora.
Le ragazze sorridono, sorridono e ballano.
Il più grande dei toscani ne bacia una senza smettere
lentamente di ballare, io mi avvicino a lei da dietro,
provo ad appoggiarmici contro, lei mi si offre
meglio, mi sta venendo duro e glielo faccio sentire in
mezzo alle chiappe.
Lei comincia a muoversi strusciandosi sempre di più.
Il mio amico la lascia andare, lei si gira e mi infila
la lingua in bocca, dopo un pò mi stacco e mi verso da
bere, trangugio e mi sento una mano intorno ai fianchi,
è l’amica che sta ballando vicino a me.
Comincio a muovermi al ritmo della musica, lentamente,
lei sorride, mi passa davanti e comincia a strusciare il
culo contro la mia patta, la giro e la bacio per un pò.
Mentre la bacio arriva il toscano più giovane e da dietro
le strizza le tette strofinandosi contro il culo, lei si gira
e la prende lui.
Siamo nel mezzo di una discoteca gremita di persone,
in realtà non so più dove sono...
Cerco di versarmi del rum ma non ce n’è più.
Mi precipito al bar a prendere una bottiglia.
Appoggiata al bancone c’è una mulatta molto appariscente,
da ogni poro della pelle sprigiona vitalità,
la sfioro un pò troppo vigorosamente ma lei non si
muove, ci guardiamo per un attimo e con il gomito
quasi per caso, mi appoggio contro due seni duri
come il marmo, non dice niente, ne approfitto per
provare a strizzarglieli con la mano.
In quel momento è come se mi avesse detto “scopami,
dai scopami qui”.
Le infilo la lingua in bocca, comincio a palparle il
culo con forza, ci sta, continuo con insistenza.
Sono fuori di me...
Continuo a baciarla contro il bancone del bar, le
voglio infilare una mano nelle mutandine, non vuole,
insisto, ma lei niente.
Sento che si sta raffreddando, forse ho esagerato un
pò, lei non è ubriaca.
Pago la bottiglia e mi ributto nella mischia.
Il giorno dopo il mal di testa mi abbandona verso
mezzogiorno.
Sono rientrato senza sapere da che parte sono
passato, non ricordo chi mi ha portato a casa e non
lo voglio ricordare, non ricordo i nomi delle ragazze,
forse non me lo hanno mai detto, non voglio pensare
a Yaneisy, adesso no.
L’odore del rum mi fa schifo, il fumo mi avvelena,
voglio solo riposare.
Riposare ancora.
Nei giorni seguenti rivedo Yaneisy, ma è un rapporto
difficile, teso, lei ha un potere su di me devastante,
quasi rovinoso, è una settimana che ci frequentiamo
e non si è ancora fatta scopare e io sto al suo gioco.
Passo le serate con lei a camminare nel parco,
parliamo, discutiamo ma soprattutto litighiamo su
qualunque cosa.
Alle undici e mezzo, l’accompagno sempre verso casa.
Nel tragitto che va dal parco a casa sua, ogni angolo
buio è buono per tentare un approccio, dentro ogni
portone aperto cerco di spingerla, ci provo in ogni luogo,
tento di infilarle le mani sotto la gonna ma lei niente.
Niente di niente...
Si lascia baciare e basta.
Ogni qual volta che i miei tentativi si fanno più audaci,
parte il messaggio registrato:
Aqui no! Yo no soy una puta! -
Mi dice che anche lei vorrebbe far l’amore, ma nel
posto giusto, in casa.
In casa, sì, ma dove ?
Portare una ragazza in casa a Cuba è diventato
un’impresa difficilissima.
Il sistema combatte ogni forma di rapporto fra turisti
e ragazze cubane, presumendo si tratti quasi sempre
di prostituzione, e la prostituzione viene contrastata
in modo assai rigoroso.
Puoi portare una ragazza in casa o in albergo solo se
è la tua ragazza “ufficiale”, cioè se entrambi vi siete
fidanzati recandovi nell’apposito ufficio presso
l’immigrazione, dove apporre i nominativi sull’apposito
albo, dopodichè vi viene rilasciata una carta con la
quale potete entrare ovunque, con la ragazza cubana
naturalmente.
II problema è che se una ragazza si iscrive con
qualcuno rimane ad esso legata per un anno.
Se la beccano con un’altro finisce in galera per prostituzione
anche se magari è una onesta, magari solo un pò ingenua.
Per questo che prima di fare dei passi falsi ci pensano bene.
Chiaramente questa prassi vale solo per il connubio
cubana - straniero.
Il ragionamento più facile per un italiano sarebbe quello
ha ragione oscar,,,,,wiking,,,,che pretendi,,,, che leggiamo quel mezzo lenzuolo ?? :-?
vittorio,,,,bella recensione,,,anche io sono stato a l'habana,,,,ma tutta questa difficolta nei locali a trovare pay,,,,mica l'ho trovata,,,,,che volendo si rimediava in 5 minuti,,,, certo se una cerca proprio la modella brasiliana,,,allora ci vole qalche ora ,,,ma comunque era bassa stagione,,,, :-h
@wiking, mi sa che hai sbagliato sito a postare il tuo racconto, questo è un sito dove si scambiano informazioni da Gnocca Travel, a che serve la tua recensione??? Vuoi sentirti dire che sei bravo o che il tuo racconto è bello?? niente di personale....
una precisazione...la sim cubana non la possiamo comprare a meno che non abbiamo la residenza in cuba. possiamo comprare quella di un cubano ma euna cosa da non fare mai perche spesso dopo che te la vendono denunciano lo smarrimento e se ne rippropiano con relativo saldo....quello che potete fare da turisti enoleggiarla a 3 cuc al giorno negli ugffici di cubacell.
OK ragazzi avete ragione, mi sembarava di aver scritto qualcosa di bello e l'ho pubblicato nella speranza di dare anche due informazioni indirette su Cuba che potessero servire per muoversi meglio...
Prossimo viaggio a breve dovrebbe essere marrakesh, prometto che mi atterrò all'etica del sito, info su come e dove cuccare...
@wiking, @fructabomba85, nessuno ha detto che è brutto, certo che se uno cerca info e si deve leggere il malloppone..... @wiking nessuno vuole toglierti la vena poetica e narrativa, puoi mettere prima le info dirette e poi ti diletti con il romanzo, che dici??
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vittorioco
23/02/2013 | 21:58
Silver
Di ritorno da poco dal mio primo viaggio a Cuba molto volentieri pubblico la mia recensione e le mie impressioni di viaggio,sperando di dare un utile contributo alla community.
Sono un viaggiatore abbastanza esperto,ma mai mi ero recato a Cuba ed ho ascoltato molto volentieri i precedenti consigli rivelatisi assai utili,utilizzando anche alcuni indirizzi e nominativi fornitimi. Ho affrontato il mio viaggio con molta umilta' conscio di essere,per i Cubani,ne' piu' ne' meno che un dollarone ambulante da cui trarre profitto...
Prudente e con gli occhi aperti ma sempre convinto di essere in un paese sicurissimo da affrontare con relax.
Pensavo di spostarmi,ma la capital mi ha stregato per la sua bellezza e,a parte qualche escursione marina, non ho girato l'isola.Lo faro' in una prossima occasione perche' certamente il viaggio merita di essere rifatto.
CONSIDERAZIONI IMPORTANTI GENERALI
1) COSTO Mi sono reso conto che L'Avana e' una citta' davvero cara per un turista: ero convinto di poter spendere attorno ai 100 cu al giorno,ma ,senza troppi sforzi,stando nella capitale si sfora facilmente il budget.I primi giorni ,preso da una certa euforia tra spostamenti in taxi,cene offerte,locali,ragazze mi sono trovato senza far follie a spenderne anche 150. Certamente con una "novia" fissa ,spostandosi sui taxi collettivi e mangiando qualche volta in moneta nacional,ecco che le cose cambiano e si puo' facilmente stare in quella cifra,anche meno,ma ci vuole un po' di attenzione ed attitudine a non ragionare sempre da turista.
2) CASE PARTICULAR: secondo me sono un falso problema.c'e' una vasta scelta attorno ai 30 cu (ognuno poi ha le sue preferite ed io mi son trovato splendidamente in una gia' qui consigliata)Basta parlar chiaro con la duena e
spiegare chiaramente che si intende portare ragazze in camera.Vedendosi arrivare un italiano,pensate che gia' non sian preparati???Chiaro che se dovessero fare difficolta'(ma non credo proprio) si opta subito per un'altra soluzione.Se pero' vi faranno notare che la ragazza deve venire col carnet qui non potrete che dar loro ragione: i documenti della ragazza da dare al dueno sono per la nostra sicurezza.Portarsi una ragazza in camera senza documenti significa aver a che fare o con una ladra potenziale o con chi ha grossi problemi con la polizia! Non correte il rischio e se la ragazza vi fa' storie...rispeditela al mittente! (a me e' successo una volta)
3)CELLULARE: qui ho raccolto pareri discordanti,ma ,secondo me, la SIM cubana e' assai utile. Non costa poco: il noleggio costa 3 cu al giorno e telefonare 1 cu ogni 3 minuti,pero' per me e' stata molto comoda.Ormai tutta la gnocca ha il cellulare(anche se non lo caricano quasi mai) e lasciare il vostro numero a chi vi interessa significa poi poter pianificare bene la vacanza.Io utilizzavo molto gli sms e spesso ricevevo chiamate a mio carico(le telefonate che iniziano e finiscono con 99) Il cellulare mi permetteva di spostare la gnocca a mio piacimento e pianificare gli incontri con facilita'.Certo occorre un po' di spagnolo basico e bisogna stare attenti a non trasformare il telefono in un centralino:la gnocca e' insistente parecchio! C'e' anche un sistema meno costoso: fare acquistare la SIM dalla novia e poi,al limite,regalargliela alla fine della vacanza,risparmierete qualcosa.
4)GNOCCA ( e qui cerchero' di essere attento perche' e' la parte piu' importante) io la dividerei nelle seguenti categorie:
a) jiniterea ovvero pay: saranno praticamente tutte le ragazze piu' carine e comunicative che incontrerete con facilita' e che sono interessate solo ai vostri soldi.Stando la crisi ed una certa penuria di turisti anche loro avranno una certa tendenza ad aspirare di diventare le vostre "novie" durante il vostro soggiorno. Mi son parse tutte molto abili nello sbattere gli occhioni e raccontare storie piu' o meno credibili: non fatevi suggestionare troppo,prendetele per quello che meritano( e certe valgon parecchio per la loro bellezza) ma siate sempre ben padroni del gioco che dovrete aver sempre ben saldo nelle vostre mani.Chiaro che tuttocio' e' scontato per i gnoccatravels incalliti,ma trovo che un giovane inesperto possa cader nella trappola.Personalmente mai fidanzato per piu' di due giorni!!!C'e' troppa merce in giro!
b) indipay....per me a questa categorie appartengono solo le studentesse o
ragazze che hanno un lavoro certo e certificato(commesse,cameriere,receptionist..ecc) Sono interessate di solito al turista,non pero' a tutti ed a certe condizioni.Accettano volentieri generosi rimborsi taxi e regalini.Hanno una forte tendenza a diventare le Vostre novie e un invito in Italia per loro equivarrebbe ad un terno al lotto!
c)free...non sono interessate ai vostri soldi,non le conoscerete dunque...eccezioni ci saranno certo ma non le conosco!
4) CONTRATTAZIONI CON LA GNOCCA: so bene che molti di Voi storceranno il naso ma francamente non ho mai avuto problemi.Ho dovuto contrattare(anche a lungo ma era un gioco) con una gran gnocca al Dos Gardenias,ma in tutti gli altri casi non c'e' stato bisogno: ho sempre spiegato che certo mi sarei comportato da gentiluomo e che avrei anche fatto loro un simpatico omaggio,ma sempre ho gestito la cosa a fatti ...compiuti. Il "rimborso taxi generoso" e il regalino che mi ero portato(intimo cinese carino comprato per pochi euro per lo piu') le hanno lasciate credo sicuramente soddisfatte.Se poi aggiungete la libidine nel vestirle e svestirle con l'intimo capirete anche
la mia soddisfazione.!!!
5) LOCALI: non li amo in generale e non mi piace l'assalto all'arma bianca dell jinitere. Sono stato alla Casa di Galliano e son scappato dopo mezz'ora. Al Salon Rojo nenache si respirava e la situazione era quasi imbarazzante (rapporto 15 :1 gnocca turista), dopo venti minuti mi sono portato pero' a casa una bella perla . Diverso pero' il discorso Das Gardenias: locale migliore e gnocca stellare: quello a mio parere vale la pena!
Mi riprometto una descrizione piu' dettagliata e cronologica dei miei 15 gg se a qualcuno interessa.
Non ho certo la pretesa di aver svelato nulla di speciale.Sono le mie impressioni e son ben lieto di scambi di opinioni e critiche da tutti ! Buona gnocca cubana a tutti! Ne vale la pena non c'e' dubbio!!!!!!!!
Ci tornero' e son rimasto soddisfatto!!!!!
INCONTRA DONNE VOGLIOSEuno
23/02/2013 | 22:18
Newbie
bella rece si continua pure. volevo sapere 2 cose? quanto era il "rimborso taxi generoso"
a al salone rojo li quanto?
indipay ne hai trovate? in che zona eri affittato? ciao
Leggi le recensioni ESCORT e non farti fregare, trova la ESCORT nella tua cittàvittorioco
23/02/2013 | 22:39
Silver
tra 30 e 40 eccezionalmente 50 piu' intimo ...tieni conto pero' che non restavano tutta la notte..non mi interessava...al Salon Rojo non ho trattato
sul posto ma solo a casa: 40 un paio d'ore con una bella rubia.
indipay due notevoli ma ho dovuto seminare parecchio. Alloggiavo al
Vedado e poi sul malecon
vicino al paseo Mari
INCONTRA DONNE VOGLIOSEzor_ro
24/02/2013 | 11:33
Newbie
Bella recensione, scritta bene... Continua pure con maggiori dettagli! Tipo qualche posto che raccomanderesti per mangiare? E sono contento che ti sei divertito a cuba!
Leggi le recensioni ESCORT e non farti fregare, trova la ESCORT nella tua cittàuno
24/02/2013 | 11:49
Newbie
@vittorioco
si vero l indipay o cmq chiche no jenetere prof non e facile ho notato anche io che molte chice come le saluti o cerchi di attaccare bottone manco si girano molte volte
INCONTRA DONNE VOGLIOSEForzanat
24/02/2013 | 18:11
Moderatore
@vittorioco , concordo con la recensione ben fatta. Devi ammettere che la spesa per i trasporti incide.....per questo io opto per una casa tra Havana Vieja e Cientro Havana. Giusto per dare un'altra info la sim Cubana costa 30 cuc.
navigatore
26/03/2013 | 11:27
Newbie
Vittorioco, mi associo ai colleghi nel farti le congratulazioni per essere riuscito a fare un'ottima recensione al tuo primo viaggio all'Avana!
INCONTRA DONNE VOGLIOSEwiking
04/05/2013 | 13:19
Newbie
Ciao ragazzi, questa mattina ho ricevuto via mail l'ok dalla redazione per entare
nella community...nella mia vita ho fatto qualche giretto per fighetta in romania, marocco ecc ma come Cuba (notare che l'ho scritta con la maiuscola) non ho mai visto nulla, non tanto per la bellezza delle indigene quanto per tutto l'insieme...mi è piaciutata talmente tanto che ci sono stato 4 mesi in più viaggi e ho scritto qualcosa di più che una recensione, praticamente
un libro, l'ho chiamato "le figlie di fidel", penso che varrebbe la pena di dargli una occhiata...
ciao a tutti.
Havana, ore sette e trenta.
E’ mattino presto, dopo aver pagato cinque dollari
a un tassista muto (non ha detto una sola parola durante
i quattro chilometri che portano dalla casa di Blanca
Maria alla stazione degli autobus) mi trascino senza
voglie, senza energia verso gli uffici della compagnia
di trasporti cubana.
Chiedo un biglietto per Cienfuegos.
Non ho voglia di fare discussioni.
Ho dormito una sola notte all’Havana, ho ancora i
postumi di un volo intercontinentale interminabile.
Sono sveglio perfettamente per via del fuso orario
ma sono stanco, privo di forze;
le situazioni mi scivolano addosso pretendendo
da me un segno di vita che non riesco ancora a dare.
La ragazza cubana che è al di là del vetro, troppo attiva,
troppo loquace per i suoi quindici dollari di stipendio
mensile, mi spiega, ma soprattutto vuol cercare di
convincermi che se non ho la prenotazione non posso
salire sul pullman ed è prontissima, nell’indicarmi dei
tassisti “particular” davanti agli uffici.
So già che sono pronti a portarmi a Cienfuegos ad
una cifra sei volte superiore al biglietto del pullman.
Guardandola lentamente negli occhi, e pensando al
pullman che, nonostante sia mezzo vuoto, non sali
se non stai al loro gioco, comincio ad assaporare la
sensazione di non essere più in Italia.
Sono a Cuba.
Non ho voglia di fare discussioni.
Non ho voglia di pensare a quanti dollari si mette
in tasca per ogni turista che riesce a far
salire sulla macchina dei suoi amici; non me ne frega
un cazzo, sono a Cuba.
Il pullman per Trinidad - Cienfuegos è in ritardo di
un’ora, dicono, poi quando arriva arriva .
Lo sapevo già che sarebbe stato in ritardo e mi domando
perchè sono voluto arrivare in orario.
chiedo a un paio di tassisti semplicemente “cuànto
dinero por Cienfuegos ? ”
Si sbrigano a spiegarmi che dipende da quanti
viaggiatori siamo, due...quattro; da quanto è grande
il bagaglio... mi domando perchè gliel’ho chiesto, lo
sapevo già.
Ci sono una coppia di norvegesi con la pelle che
mi ricorda uno yogurt al mirtillo; sui quarantacinque
anni, con i classici dieci chili di troppo, tipico di
quasi tutti gli occidentali e con le rughe della fronte
classiche di tutti gli occidentali.
Se fossi in Europa non riuscirei a vederle, si
confonderebbero in mezzo a tutte le altre.
Qui guardo le persone straniere e riesco a vedere
dentro di loro; ogni ruga mi racconta una storia,
mi descrive il loro modo di vivere; il loro passaggio
sul pianeta terra è sulla mappa che si portano incisa
sulla faccia.
Vedo le preoccupazioni, lo stress, le insoddisfazioni,
le frustrazioni... in Italia mi chiederei come mi vedono
gli altri, visto che io le noto certe cose, mi farei la
paranoia di sapere; qui no, non me ne frega niente,
la permanenza in questo posto è troppo breve e troppo
magica perchè possa farmela rovinare da qualche sega
mentale.
I norvegesi hanno lo stesso problema: arrivare Cienfuegos
Trascino me stesso e i bagagli fuori dagli uffici,
non parlano spagnolo e tanto meno l’italiano;
in un tormentato francese scambiamo qualche
informazione, sono gentili e provano a fare i simpatici
ma non ne ho voglia, sono ancora troppo stanco.
C’è anche un italiano con lo stesso obiettivo: Cienfuegos;
sui quaranta, abbastanza abbronzato,
accento leggermente meridionale, discreto fisico,
meno rughe, molte meno.
Penso sia un gran figlio di puttana, ma non veterano
di Cuba, è abbastanza sicuro, deciso, ma si sbatte
troppo per essere uno che sa come muoversi.
Lascio a lui il compito di trattare con i tassisti.
Tanto lo so già che partiranno in quattro, il cubano
che guida, i due norvegesi dietro e l’italiano davanti,
con metà del bagaglio nel “maletero” e l’altra metà
in braccio.
Se fossimo in cinque risparmieremmo tutti qualche
dollaro e il cubano guadagnerebbe un po’ di più, ma
non mi va. Penso come sarebbe il viaggio in cinque
su quella macchina senza ammortizzatori, con
i due norvegesi che cercherebbero di comunicare
in qualche modo e l’italiano che mi racconterebbe
la sua vita, magari lamentandosi della moglie che lo
ha lasciato e del lavoro che ha perduto, tralasciando
l’unica parte interessante: lei se n’è andata perchè
lui si è fatto sei mesi di carcere per traffico di coca
oppure per le cinghiate ricevute al rientro a casa
dopo l’ennesima sbornia.
Non saprò mai niente della vita di quell’italiano;
pochi minuti dopo partono in quattro alla volta di
Cienfuegos.
Io so che aspetterò il pullman.
Potrei offrire dei dollari alla ragazza dietro al vetro
perchè mi tenga un posto nel caso qualcuno rinunci,
facendo finta di non sapere che qualcuno lo farà
sicuramente, ma non ne ho voglia, evito di fare anche
questo piccolo sforzo.
Finalmente il pullman arriva, è come una zolletta di
zucchero buttata in un formicaio; la percentuale di
adrenalina nel sangue dei cubani sale.
Ogni movimento, per loro, in qualche modo equivale
a denaro; il pullman, con mia sorpresa, è quasi nuovo.
Il mezzo mi piace, lo voglio prendere; ritorno dalla
cubana al di la del vetro e infilando cinque dollari
sotto lo sportellino le dico “...por la prenotaciòn...”.
Con altri venti dollari ritiro il mio biglietto per Cienfuegos.
Il pullman assomiglia a uno di linea europeo, è pulito
e ben tenuto.
Sistemo il mio bagaglio a mano e mi struscio con la
schiena contro il sedile alla ricerca della posizione
meno rovinosa per le mie ossa.
Salgono cubani, turisti, coppie con la guida in mano,
chi con le bermuda color militare, chi con gli occhialini:
le coppie in quanto tali, sono tutte uguali per me, hanno
lo stesso sguardo, come se la vita fosse tutta lì, con
dentro agli occhi una sensazione di leggera rinuncia
a un mondo più coraggioso.
Sale una cubana di una ventina d’anni e si ferma due
file di sedili davanti a me, ha una tutina di “Danza”
color salmone, intimo che esce fuori griffato Armani
e una montatura di occhiali quasi trasparenti molto
grande .
La sua bellezza è il capitale più grande che ha e,
presumibilmente, anche l’unico.
E’ molto bella, e lei pensa, da buona cubana, che
tutto il mondo sia innamorato di lei, tutto il mondo la
desideri.
Forse è così o forse no, forse le piace solo pensare
che sia così.
Le è bastata una mezza occhiata per capire che
sono tra i “pochi” che non si innamorerebbero di lei,
e sa che io so, che con venti dollari molti l’hanno
già avuta, e il mio totale disinteresse la reclude
in uno stato di inefficienza mentale e il tutto si amalgama
in un perfetto equilibrio di sensazioni.
Nessun tentativo a vuoto da entrambi le parti, nessun
approccio sgraziato, qui siamo a Cuba e nessuna
energia deve essere sprecata.
Finalmente si parte.
Alla mia destra, lato finestrino, c’è un grasso cubano
già sudato al mattino presto; deve essere abbastanza
benestante a giudicare dai vestiti e l’orologio che
indossa; non fa il minimo cenno di voler comunicare;
perfetto.
Alla mia sinistra c’è un posto vuoto e vicino al finestrino
una donna sui trent’anni anni, bionda, leggermente
in carne, con una gonna a fiorellini che per il
suo fisico forse è qualche centimetro troppo corta.
Non è bellissima ma ha due occhi chiari che esprimono
mille sensazioni.
Ci guardiamo per alcuni secondi come se provassimo
una certa attrazione ma come se tutti e due non
avessimo nessuna voglia di parlare.
Io continuo a strusciarmi contro il sedile e dopo pochi
minuti sono completamente addormentato.
Dopo un centinaio di chilometri riprendo conoscenza,
mi stiro come un gatto che si è appena sveglia
to e sento una piacevole sensazione in mezzo alle
gambe, come se la punta del mio pene fosse diventata
ipersensibile e avesse una certa voglia di particolari
attenzioni.
Inavvertitamente giro la testa verso sinistra e le gambe
della signora bionda vicino al finestrino diventano
oggetto di desiderio.
Lei si volta verso di me e i suoi occhi mi danno una
scossa alla colonna vertebrale.
Avrei veramente una certa voglia ma siamo
su un pullman e di iniziare una conversazione per poi
rivederla chissà quando, a Cuba, sarebbe veramente
assurdo.
Stranamente è una giornata nuvolosa, la luce è
particolarmente fioca, il che mi aiuta a richiudere gli
occhi cercando di riaddormentarmi per tentare di
rimuovere qualsiasi pensiero rivolto alla mia avvenente
compagna di viaggio.
Provo e riprovo ma non riesco più a chiudere occhio
e le gambe della bionda signora appoggiate sul
sedile di fronte e leggermente divaricate vicino a me
sono diventate un tormento; ogni volta che mi giro e
incontro il suo sguardo mi sento come un ragazzino
di sedici anni.
Ogni occhiata di quella donna è una scarica ormonale
sulla punta del mio cazzo.
Sono sopra un pullman, cazzo! Cosa posso fare?
Comincio a pensare: e se mi sedessi vicino a lei?
Cosa potrei fare? Niente...
Vaffanculo! Sono a Cuba, perchè tanti pensieri?
Mi alzo in piedi e tiro fuori dal bagaglio un pacchetto
di Marlboro; con mosse quasi studiate mi giro
verso di lei, la guardo, lei ricambia il mio sguardo, le
chiedo se ne vuole una, mi risponde sorridendo che
non fuma, ma ritrae le gambe dal sedile di fronte in
segno di invito a sedermi vicino a lei.
Scambiamo le solite parole di rito, lentamente, senza
fretta; ha una bella voce calda e due magnifici occhi.
Mi racconta che va a Trinidad da un parente...mi fa
mille domande, poi la conversazione si fa sempre
meno interessante; è come se i nostri interessi si
spostassero su altre cose, è come se involontariamente
desideri inconfessati venissero a galla.
Probabilmente è la debolezza del viaggio, oppure il
pensiero fisso di cosa potrebbe provare lei, sarà la
mia fantasia che comincia a volare, ma mi sta venendo
duro.
Non si parla più e non ci si guarda negli occhi per
non aggredirsi, si ascoltano le nostre vibrazioni...
Lei riappoggia le ginocchia sul sedile di fronte, le
nostre gambe si toccano per un attimo, ho un fremito.
Riappoggio volutamente con lentezza la mia gamba
sinistra contro le sue, con leggerezza, fermo il movimento
della gamba e ascolto le sue emozioni, la
sento respirare più profondamente, è una sensazione
quasi impercettibile ma la sento.
L’idea di pensarla disponibile, eccitata come me, in
questa situazione paradossale mi risveglia completamente
i sensi, mi sento rosso in viso, ho le mani
umide...
Rimango fermo a gustarmi l’attimo per alcuni secondi,
poi so che devo azzardare di più.
La mia mano sinistra le sfiora lentamente l’esterno
della gamba, lei mi guarda con gli occhi quasi socchiusi
e sorride.
Ho il sangue al cervello.
Con i polpastrelli della mia mano sinistra provo a
palparle la coscia e rimango in attesa di una sua
reazione... lei gira lo sguardo verso di me, non c’è
traccia di sorriso, il suo è uno sguardo serio, pieno di
voglia.
Leggo nei suoi occhi disponibilità e curiosità... siamo
su un autobus.
Mi giro di schiena verso il corridoio e con la mano
destra le sfioro l’interno della coscia, lei mi guarda
e mi apre un po’ di più le gambe, io mi sposto meglio
su di lei; intravedo le mutande bianche, dei peli
biondi fanno capolino dai lati.
Mi guardo intorno per vedere se qualcuno guarda,
ma ognuno è preso dal suo torpore.
La mia mano comincia a sfiorarle la pelle della coscia
sempre più su; arrivo a sentire i peli ai lati delle
mutande, e lentamente scorro le unghie sulle sue
mutandine e poi più insistentemente con le dita.
Lateralmente le entro sotto le mutande con due dita,
guardo ancora che nessuno veda e altrettanto fa lei.
Comincio a massaggiarle il clitoride con una certa
energia guardando le espressioni del suo viso fino a
quando sento il suo respiro cambiare e poi rilassarsi.
Mi toglie la mano e socchiude un po’ le gambe, ha
uno sguardo lucido, mi guarda negli occhi e si rilassa
sul sedile.
La guardo per pochi secondi, poi le prendo la mano
e me l’appoggio sulla patta; sempre guardandomi
negli occhi con la mano mi sbottona i jeans.
Alza lo sguardo intorno lentamente per controllare
che nessuno veda e mi infila una mano nei pantaloni,
me lo tira fuori e guardando prima lui e poi me negli
occhi, fa scorrere la sua mano su e giù un paio di
volte, molto lentamente, si riguarda intorno si avvicina
con la testa e se lo infila in bocca.
Ha una bocca caldissima e morbida, venti secondi
dopo sta ingoiando.
Si tira su, mi sorride facendosi passare un dito intorno
alle labbra.
Sento la stanchezza che se ne va, non ho voglia di
niente, ho solo voglia di essere lì dove sono.
E’ dicembre ma a me sembra primavera.
L’energia se ne è andata e io non ho voglia di approfondire
nessuna conoscenza...
Torno a sedermi al mio posto vicino al grasso cubano
sudaticcio che non ha smesso di dormire.
Mi rilasso e penso che è bastata una notte a l’Havana
e un viaggio di tre ore su un pullman in questo
mondo per allontanarmi dallo stato mentale in cui
ero caduto.
Ci fermiamo per un caffè a una stazione di servizio.
Una leggera brezza mi accarezza le braccia e per
un attimo la mia mente ritorna in Italia, l’ho lasciata
dopo la metà di dicembre, il termometro segnava
meno dieci gradi.
Un carico eccessivo di lavoro, in Italia, mi stava massacrando;
entro la metà di dicembre dovevo chiudere una
serie di impegni.
Ero e sono praticamente ancora in ritardo su tutto e
con tutti.
Il pensiero di non farcela, di non rispettare le tempistiche
e doverne subire le ripercussioni mi turbava.
Tre giorni prima ero perennemente angosciato,
dall’ansia, mi alzavo al mattino già stanco.
Correvo tutto il giorno e, se mi fermavo a pensare,
non capivo più perchè stavo correndo, non sapevo
più dove stavo andando ma continuavo a correre.
Ricordo poco prima di partire, la prima pagina luccicante
di un depliant in bella mostra dietro una vetrina
di un centro commerciale, ferma per un attimo la
mia mente. Una coppia felice, principalmente vestita
di sole, ride correndo sul bagnasciuga mano nella mano.
Una natura forte e selvaggia li circonda.
Il mare è degno delle migliori cartoline d’agosto.
Ma è il sole che fa la parte del leone,
un sole che amo e che fa sentire la sua presenza
in quel posto magico con tutta la sua forza.
Rimango in silenzio per qualche secondo a guardare
il lucido della carta sperando di venire abbagliato,
di venire accecato da un riflesso così forte da dover
chiudere gli occhi, da poterne sentire il calore.
Un calore che mi scaldi il cuore, che guarisca la mia
anima da qualunque malattia.
Quel sole è soltanto una manciata di inchiostro giallo
e arancione spalmato su un pezzo di carta: una serie
di puntini cromatici distribuiti ad hoc su una superficie bianca.
Questo gioco di pixel non è nient’altro che un inganno
per gli occhi... ma l’immagine che ne scaturisce,
riesce a fermare la mia mente.
Mi suona il telefonino, freno il gesto istintivo di
avvicinarlo all’orecchio schiacciando il tasto verde.
Evito di rispondere un pronto che avrebbe il sapore
di un “eccomi! ci sono!, sono a disposizione”, di un
“comandi !” detto da una burbetta al suo secondo
giorno di naja, che non sa ancora come muoversi,
e pensa che chiunque abbia una decorazione sulla
spallina possa essere un comandante, qualcuno che
durante quell’anno possa disporre di lui a piacimento,
sputargli in faccia ordini inutili ai quali non avrebbe
possibilità di replica.
Lascio suonare il telefonino, lo guardo squillare e
illuminarsi ripetutamente fino all’esalazione del suo
ultimo respiro.
Lo lascio morire senza intervenire.
Voglio guardare ancora un po’ il depliant.
C’è scritto: “Cuba, una fabbrica di energia positiva”
Mai slogan mi sembrò più azzeccato in quel momento.
Fisso quell’immagine e vorrei estrapolare da essa le
sensazioni che ho provato in quel posto magico.
Vorrei sentirne gli odori, i profumi, vorrei vedere lo
stesso taglio di luce, vorrei sentire il mio cuore rallentare
il battito fino a unirsi all’unisono con il mondo esterno.
Vorrei girarmi e vedere ragazze spensierate con la
luce negli occhi che ascoltano il ritmo della vita che
gira intorno a loro, disponibili a prendere dalla vita
ciò che essa sta donando loro, per poi restituirla rinnovata
e forte alla vita stessa in uno scambio senza fine.
Provo ad avvicinare il depliant al mio naso, lo annuso
lentamente, sperando di sentire un profumo conosciuto.
L’aria di Cuba ha odore di petrolio e del fumo di un
falò portato dal vento.
Un falò che sta bruciando arbusti secchi, misti ad
altri arbusti verdi che scoppiettano un pò e fanno
fatica a incendiarsi ma che liberano nell’aria il loro
contenuto di essenza profumata.
Il mio depliant odora solo di inchiostro.
Lo piego e lo ripiego su sè stesso e me lo infilo nella
tasca posteriore dei jeans come se fosse un’icona
sacra, come se averlo in tasca potesse diventare
panacea ai miei mali.
Ma quali sono i miei mali?
Ho quarant’anni anni, sono in salute, faccio sport,
vado a sciare, un pò di piscina, un pò di tennis.
Ho quattro amici giusti e un paio di signore disponibili
a sfilarsi la gonna quando voglio.
Non sono ricco ma ho un lavoro che mi permette di
passarmela nemmeno poi così malaccio.
Allora perchè sto male?
Forse lo capisco pagando il libro e la dolcevita che
ho appena comperato alla cassiera con la carta di credito.
Mi sento trattato come un pacco postale.
La ragazza dietro la cassa compie il suo iter nevrotico
senza curarsi minimamente di chi c’è dall’altra
parte: sono come un robot che ha speso dei soldi e
lei deve fare le operazioni convenzionali, deve provvedere
che tutto sia a posto perchè l’automa possa andasene.
Non ha tempo per guardare in faccia le persone, non
ha tempo per coglierne le sfumature, per prendere
da chi le sta davanti il meglio, per sentirsi parte integrante
di un mondo fatto di persone.
La ragazza è un ingranaggio del meccanismo come
lo sono io, nient’altro che un numero.
Non ha tempo, non ha tempo, deve fare tutto di corsa,
un altro robot dietro di me sta realizzando che
la mia operazione è quasi finita e allora si avvicina
sempre di più alla sua postazione di turno, si sta
avvicinando sempre di più, ha appoggiato la sua
merce sul nastro della cassa, è vicinissimo a me!
Posso quasi sentire i battiti del suo cuore contro
il mio fianco, ormai è qui e io ho finito le mie operazioni,
devo catapultarmi fuori, oltre la linea gialla!
Presto! Presto!
La ragazza alla cassa non ha tempo per me, non ha
tempo per quello dopo di me e quello dopo ancora.
Avrà tempo per qualcuno? Avrà tempo per se stessa?
Chissà cosa direbbe se una volta alla cassa provassi
a non ricordare più il numero del bancomat, provassi
a digitare dei numeri a caso fino a quando non si blocca.
Poi mi piacerebbe provare a tirare fuori il contante,
tutti biglietti di taglio piccolo e una manciata di
spiccioli che, gettati maldestramente cominciassero
a correre dritti verticali girando su sè stessi per tutta la cassa.
Qualcuno anche sul pavimento: doverlo rincorrere
zigzagando tra la coda dietro di me, cercare quello
finito tra i piedi della signora... chiedere di spostare il
carrello perchè ne è finito uno sotto...
Contare e ricontare almeno tre volte senza mai arrivare
alla cifra a caratteri rossi che appare sul display
della cassa, andare molto vicino alla cifra richiesta
ma abilmente non centrarla mai.
Vorrei poter lasciare tutto lì e andarmene lentamente
salutando tutti come vecchi amici, e tra uno “scu
satemi, scusatemi ancora”, provare la sensazione di
avere il cuore che comincia a ridere.
Chissà se alla ragazza apparirebbe sul viso uno
sguardo diverso, chissà...
Una volta uscito vorrei perdermi nel parcheggio del
centro commerciale, girovagare nel sotterraneo alla
ricerca della mia auto non ricordando dove l’avevo messa.
Vagabondare senza il minimo stress addosso, senza
sentirmi un’idiota perché non ho guardato in che
settore, a che piano l’ho messa, passeggiare per il
parcheggio alla ricerca della macchina persa,
e qualunque cosa succeda poter ringraziare il mio Dio
che ho un’altra giornata bellissima da vivere.
Perchè non posso vivere così, perchè?
Paradossalmente ai miei quasi inconsci desideri,
la macchina ricordo perfettamente dove l’ho messa,
e purtroppo ricordo anche di avere un appuntamento
al quale rischierò di arrivare in ritardo.
Imbocco l’autostrada e ad una velocità di trenta /
quaranta chilometri orari oltre il limite consentito cercando
di recuperare del tempo per essere il più puntuale possibile.
Mi squilla il telefono e inizio una discussione assurda
con un mio fornitore; l’illogicità di chi sta dall’altra
parte, la scorrettezza del suo comportamento mi fa
salire il sangue alla testa, mi squilla l’altro telefonino
a cui rispondo velocemente con un -ti richiamo io! -
Ho una sigaretta accesa tra le dita, una discussione
accanita sul viva voce e sto andando a centosettanta all’ora.
Un idiota di fronte a me invade la corsia senza mettere
la freccia, freno bruscamente riuscendo a non tamponarlo.
Sono in ritardo all’appuntamento, arrivo e mi giustifico
senza sforzarmi di essere troppo credibile, il mio
contatto è abituato ad essere in ritardo e siccome
sono io che spesso devo aspettare lui, non mi fa
pesare di avergli fatto perdere tempo chiuso dentro
una macchina...parliamo delle nostre cose e ci salutiamo
con una rituale stretta di mano.
Mi rendo conto sempre di più di come il mio tempo
venga impiegato a sbrigare senza energie ed
entusiasmo faccende...tutto è stranamente avvolto
in una atmosfera ammortizzante, senza dolore né esaltazione.
Questa è la mia vita ? E’ così che voglio spendere il mio tempo?
Non lo so, mi sento come un guerriero con la lancia spezzata.
So che un giorno verrò divorato dai vermi, è l’unica
certezza che ho, mi domando se fino allora sia giusto
vivere “sbrigando faccende”, ad autoconvincermi
nel trovare soddisfazioni, nel progettare una vita
banale; non lo so se la mia vita è questa.
Al rientro a casa sono senza forze.
In bagno, nello specchio guardo l’immagine della
mia faccia invernale.
Mi butto sul letto vestito e sento lo scricchiolio del
depliant nella tasca posteriore.
Lo tiro fuori e realizzo che è arrivato il momento di partire.
Il bel pullman di linea si ferma bruscamente con il
solito rumore di rilascio dell’aria compressa dal circuito
frenante, sollevando un pò di polvere.
Arrivare a Cienfuegos in autobus per uno che non
c’è mai stato è un bell’impatto.
La stazione è un blocco di cemento enorme in perfetto
stile comunista, cagato in mezzo alla città; è una
struttura abbastanza grande ma completamente
priva di ogni accessorio che ne dia una parvenza
civile; sembra una struttura militare, potrebbe essere
qualunque cosa, una qualunque cosa fatta di
cemento, tutto è di cemento, non ci sono porte e
finestre ma le panche dove sedersi sono anch’esse
di cemento, strutturate come se dovessero reggere
passeggeri con il culo pesante cinquecento chili;
i corridoi che separano un ingresso verso i pullman da
un altro, in Europa sarebbero realizzati con un nastro
colorato retraibile; qui sono di cemento, paratie di
cemento spesse trenta centimetri che servono per
indicare una direzione anzichè un’altra.
La direzione è scritta con un pennarello su un pezzo
di cartone: non c’è nulla di strano se l’indicazione
non compare su un display luminoso, la stranezza è
che decine di persone sono imbottigliate in mezzo
a due muri di cemento per delle ore e poi quando
arriva il pullman l’autista si ferma dove cazzo gli pare
e tutti i passeggeri si spostano nel corridoio di fronte
all’ingresso del pullman che devono prendere.
Senza contare quando, dopo ore di attesa, arriva
l’addetto e con un filo di voce dice al primo della fila:
oggi il pullman non passa!
Tutto questo trascorre nella più normale quotidianità,
dove nessuno si lamenta, dove tutto questo per noi
sarebbe assurdo.
Cuba qualcuno l’ha definita un “luogo non luogo” e
Picasso quando ha visto l’Havana l’ha descritta
come una città surreale.
Non ho una definizione personale da dare a questo
posto, in alcuni momenti ho pensato di essere morto
e di essere finito in un girone dell’inferno, non come
semplice anima, ma come un personaggio dantesco
che gestisce le anime degli altri, qualcuno di altolocato
che ha il potere di gestire le sofferenze dei malcapitati.
E la cosa non mi dispiace affatto.
Non ho voglia di prendere un taxi per coprire i due
chilometri che separano la stazione dalla casa di Harberto.
Conosco la strada, il bagaglio è un pò pesante ma
non ho fretta, la fatica fisica per me è un antidoto a
molte stanchezze mentali.
L’arrivo a casa di un cubano è sempre una festa,
soprattutto quando è cosciente che gli lascerai un
bel pò di soldi.
Sistemo le mie cose in una stanza da far invidia alle
nostre donne più ordinate e scendo le scale per
andare in cucina a prendermi da bere, ma mi ero
dimenticato della figlia.
La ragazzina (quando l’anno prima mi passava vicino
abbassavamo entrambi lo sguardo) era vicino al
frigo, adesso ha già sedici anni e ha messo su i chili
nei posti giusti, abbiamo riprovato entrambi ad
abbassare gli occhi ma questa volta nessuno dei due
c’è riuscito: lei non è riuscita a trattenere la vampata
di rossore in viso, io a nascondere una scossa alla
colonna vertebrale.
Si è congedata con un frugale “bienvenido” e abbassando
gli occhi si è chiusa nella sua stanza.
In casa di Harberto non si parla di politica, come in
tutti gli altri posti di Cuba.
E’ una delle poche cose che non devi fare: infilarti in
discorsi dove si va a scoperchiare certi metodi usati
dal sistema castrista.
Qui anche i muri hanno le orecchie, devi far finta che
tutto sia a posto se non vuoi avere guai e qui i guai
se arrivano sono grossi, ma veramente grossi.
I muri però molte volte sanno anche raccontare delle storie.
La casa di Harberto è una casa di cultura, lui è un
medico e l’ex moglie un ingegnere civile.
C’è una discreta libreria, considerato il fatto che ci
troviamo in un paese dove la cultura è vista come pericolosa.
Un collegamento ad Internet (illegale).
Mobili di prestigio tenuti perfettamente.
La polizia di regime in quella casa non deve entrare,
qualsiasi cosa succedesse ad un ospite, se sparisse
qualcosa, denaro o qualunque altra cosa, intuisco
che sono disponibili a risarcire personalmente, basta
evitare di fare denunce.
La polizia investigativa farebbe troppe domande.
Prima della caduta di Batista, la famiglia di Harberto
era latifondista, coltivavano il caffè sugli altipiani e
possedevano una trentina di schiavi.
Il cromosoma dello schiavista gli è rimasto nel
sangue, è più forte di loro, hanno una repulsione a
livello epidermico per chiunque sia di colore; quando
devono rivolgere una parola a un negro cambiano
istintivamente il tono di voce, diventano insofferenti,
arroganti e trattengono a stento l’ira solo per il fatto
che egli esista.
Il loro sguardo si fa duro, cattivo, il taglio della bocca
è rivolto verso il basso, l’unica cosa che potrebbe
dar loro soddisfazione sarebbe annusare la pelle del
negro, la pelle del negro che trasuda sangue.
Mi raccontano che i negri per le loro piantagioni li
compravano ad Haiti, oggi che non possono più
disporre di carne nera a loro piacimento, sono diventati
come dei vampiri che si devono dissetare, non
hanno pace se non si possono nutrire della sofferenza
di un negro.
Un negro per loro è come un’animale da cortile, un
gallo, un tacchino, forse, più precisamente, un porco.
Devi prendere da lui cosa ti può dare.
Mi spiegano come si trattavano i negri: dovevi ricordargli
tutti i giorni che tu sei il padrone, il padrone
della loro vita e non c’è modo migliore di ricordarglielo
che trovare prima o poi un pretesto per sgozzarne
uno, rigorosamente di persona, naturalmente quello
più sovversivo.
Quando con molta diplomazia riesco ad accennare
qualcosa sul sistema che regge il paese, prima
aspettano che parli io, poi con estrema educazione
rispondono nel modo che il sistema impone.
Solo se la mia conversazione è intelligente e sicura e
se le circostanze lo consentono (un ottimo bicchiere
di rum aiuta moltissimo), solo allora, talvolta esprimono
giudizi personali.
Non è tanto interessante quello che dicono, conoscendo
la loro storia, sapendo che il sistema ha tolto
loro tutte le proprietà, come a chiunque altro che
possedeva qualcosa, ed è abbastanza prevedibile
per un occidentale dotato di un minimo di realismo
intuire il loro pensiero.
Sono attratto dalle loro emozioni, mi nutro delle loro
sensazioni e quando si lasciano andare, mi parlano
del sistema con lo stesso impatto emotivo di quando
mi parlano dei negri.
Scorgo l’odio verso il sistema che regge il paese
nelle loro parole.
Vedo dietro ai loro occhi la sicurezza di un qualcosa
che ritornerà, “bisogna solo saper aspettare” mi
dicono e più l’attesa sarà lunga più la vendetta sarà
feroce.
Sono qui già da tre giorni e non è ancora successo
niente di interessante, un paio di giorni di mare,
un’aragosta da un chilo ma niente di particolare.
Oggi niente mare, girovago senza una meta precisa
tra il boulevard, la “carretera principale” e il parco.
Sto guardando con una certa attenzione un telo
gigantesco che riporta l’effige del Che, mi passano
vicino due ragazze cubane che mi dicono in spagnolo
-“ vuoi comprarlo ? ”- e prima che possa rispondere
qualcosa scoppiano a ridere e continuano con la loro
andatura spedita.
Una è bionda, molto carina e non sembra neppure
una cubana, avrà diciotto anni, l’altra è mora e avrà
circa venticinque anni.
Una mora e carina come lei, qui, la chiamano “trigheña”.
Lei è una cubana pura, bianca, non altissima
e porta a spasso con fierezza un culo da favola,
due occhi che ti scrutano l’anima; è sana come un
pesce e ride fragorosamente.
E’ la prima volta che vedo una che mi piace davvero.
A lato del parco c’è un locale che si chiama Palatino
dove suonano costantemente musica dal vivo, si
alternano gruppi musicali più o meno conosciuti che
si esibiscono rigorosamente senza amplificatori.
La musica che ne scaturisce, per usare un termine
“cubano”, è soave, non urta minimamente l’udito.
Alla sera sono al Palatino a bermi un rum, lì hanno il
Caney, lo puoi bere solo a Cuba, non viene esportato,
va giù senza grattare da nessuna parte, profuma
di cose antiche, di cose buone, non ti aggredisce
l’olfatto con tracce di solventi.
Per il momento lo bevo solo lì, non ho ancora cominciato
a farmi la scorta da tenere in camera da letto.
Quest’anno mi sono promesso di stare leggero, non
voglio ricominciare a tracannare rum direttamente
dalla bottiglia e cerco di non fumare una sigaretta
dietro l’altra, so che qui non fumare mi sarebbe impossibile:
è difficile ma possibile per me non fumare in Italia,
ma qui proprio non ci riesco e così non ci provo nemmeno.
Sono al secondo Caney ed ecco spuntare la “ trigheña” di oggi.
E’ come un lampo nel cielo stellato, ci guardiamo
senza sorriderci ma nemmeno aggredirci,
lei ha già capito che mi piace, le donne cubane
quando si parla di maschi hanno le antenne otto
volte più sviluppate di qualsiasi occidentale.
Farebbe qualunque cosa pur di piacermi ancora di più.
Farebbe qualunque cosa per farmi salire l’ormone al
cervello, la donna cubana vuole piacere e vuole essere
scelta in mezzo ad altre centomila, vuole gustarsi
la sensazione di essere sicura che il maschio che
prova qualcosa per lei, la scelga, che faccia qualsiasi
cosa per lei, solo per lei, non per un’altra più bella o
più brutta, più alta o più bassa, per lei, solo per lei.
Probabilmente hanno sviluppato questa sensazione
in risposta al fatto che sono in numero decisamente
superiore rispetto al maschio.
Assaporo il mio Caney e mi godo il privilegio di essere
un maschio.
La ragazza entra nel locale e si intrattiene per alcuni
minuti con la “cicha“ del barista.
Venendo verso di me nel dehor vede uno che ha già
passato la sessantina seduto al tavolo, lo saluta e si
ferma a bere con lui.
L’uomo è un turista, parla uno strano spagnolo, intuisco
che si conoscono molto bene.
Lui piuttosto anziano, lei giovane e piena di vita,
molto loquace e disponibile nei suoi confronti, il quadretto
che ne scaturisce non lascia scampo al mio pensiero.
A casa mia uno più uno fa due.
A Cuba una scenetta come questa può avere un solo
epilogo e un velo di tristezza scende a coprirmi l’anima.
E’ solo una jinetera.
“La cicha que me gusta es solo una puta.”
Lei si gira a guardarmi ma non raccoglie più il mio
sguardo, non riesco più ad alzare gli occhi verso di lei.
Mi sento privo di ogni desiderio e forse non ho più
nemmeno voglia di essere a Cuba.
Lascio qualche dollaro sul tavolo e mi trascino verso
casa, nè ubriaco nè felice.
Mi sento inutile.
Il giorno dopo è peggio ancora, sono ancora vuoto,
ho ancora nella mente gli occhi di quella ragazza
e la consapevolezza che si faccia scopare per pochi
dollari mi rende ancora più triste.
Ma si sa, le disgrazie non vengono mai da sole; sto
facendo colazione e improvvisamente fa capolino la
figlia del padrone di casa; è davvero bella e la sua
condizione mentale di altolocata e il sapere di sentirsi
desiderata da me avrebbe dovuto far scattare
qualche molla o per lo meno mantenermi in “tiro”.
Anche lei legge nei miei occhi un velo di tristezza e
di vuoto.
Se ne ritorna in camera sua senza parlare.
Questa sensazione di malinconia mi sembra esagerata,
ma in realtà mi rendo conto che l’unica scintilla
di vita l’ho incontrata per un’attimo negli occhi, nello
sguardo della trigheña.
Al pomeriggio dopo un lungo bagno comincio a sentirmi
un pò meglio.
Cuba è magia.
Passo a farmi un aperitivo al Palatino e scopro che
dopo che me ne sono andato la sera precedente, la
“ trigheña “ aveva chiesto al barista informazioni su di me.
Interessante ma non poi così tanto, era sempre una
puta, pensavo.
Cerco di scambiare qualche parola con il barista e
lui, in contrasto con ciò che pensavo di lei , me la
descrive come una cicha seria, una brava ragazza.
-E l’hombre di ieri sera? - Domando.
-Ah quello che parlava con lei seduto nel dehor, sulla
sessantina? Quello è un turista tedesco che ha sposato
una cubana e che vive di fianco a casa sua.
Vive qui da anni, si conoscono da mesi. - Mi risponde.
La “ trigheña “ non è una puta, anzi, e mi invita, quasi
per scommessa, a riuscire a trovare un turista che
l’abbia scopata.
In quel momento capisco come sono fatto, capisco
le cose che danno un senso alla mia vita, sono
perfettamente conscio di essere a Cuba, sono
consapevole che le storie vissute qui devono essere
prese per quello che sono, ma l’idea che quella ragazza
possa essere molto di più che una semplice bambola
da prendere quando si vuole, l’idea di poter vedere
in lei una donna con una sua dignità, una sua personalità,
di poter sentire in lei un cuore che batte, mi fa stare
bene e riempie la mia mente di sensazioni positive.
In quel momento ricomincio a pensare che la vita sia
una cosa meravigliosa, i cubani oggi li trovo particolarmente
simpatici, bianchi, neri, non me ne importa un cazzo.
Penso solo che la “ trigheña “ non è una puta.
Solo questo m’interessa.
Quattro salti e sono a casa.
Faccio una doccia, mi stendo sul letto, guardo il soffitto
e voglio essere lì dove sono...
L’idea che possa incontrare la “trigheña” e pensarla
come una ragazza pulita mi riempie di energia nuova.
Intanto la figlia sedicenne mi chiama da in fondo la scala
per dirmi che quando voglio posso scendere a cenare.
Mi sporgo dall’ultimo scalino e faccio finta di non capire,
lei fa due scalini e mi ripete che se voglio posso
cenare, faccio finta ancora di non capire e con un
dito le faccio segno di salire.
Faccio un passo indietro, le do la schiena, attendo
qualche secondo, mi rigiro e me la trovo davanti
sull’ultimo scalino.
Lei prova a ripetermi che la cena è pronta... le metto
una mano delicatamente sui fianchi, non riesce a
terminare la frase e mi prende la mano per fermare
le mie “buone” intenzioni, ma non è molto convinta,
sento un leggero tremolio, il suo cuore sta battendo
fortissimo, è rossa in volto, ha i capelli bagnati e sa
che non dovrebbe essere lì, credo che glielo abbiano
spiegato...
Ho il cuore in gola anch’io...
La tiro verso di me con la punta delle dita, come se
fosse solo un invito, si lascia dondolare verso di me,
le bacio piano le labbra, il suo respiro accelera, le
metto la lingua in bocca, è tenera e calda, sensuale
e vogliosa, mi succhia la lingua voracemente per
pochi secondi, ci separiamo, si precipita al piano di
sotto volando sulle scale e sparisce.
Dopo cena faccio un giro per il lungomare con un
paio di ragazzi di Firenze che ho conosciuto in
spiaggia, andiamo a bere qualcosa in un locale all’aperto
frequentato principalmente da cubani, l’Artex:
c’è musica dal vivo, il locale non è bellissimo, le sedie
sono di plastica dura, il bar è minuscolo e ti servono
bevande in bicchieri ancora grondanti acqua del lavaggio,
i cocktail sono preparati con approssimazione
ma si sta bene ugualmente, non ci sono impianti
acustici troppo sofisticati, la musica ti incanta
e mi godo la temperatura perfetta, indosso soltanto
una Lacoste.
Penso alla “ trigheña “ di ieri che stasera ho preferito
evitare di incontrare, penso ai suoi occhi scuri,
a quel culo meraviglioso e mi si accappona la pelle,
sarà la brezza, forse...
La serata trascorre lenta, i due amici sono simpatici,
hanno delle voglie, ci scherzano sopra con un piglio
ironico, non sono mai né pesanti né volgari.
Uno di loro, il più giovane, è la prima volta che viene
nel paese dei balocchi e si diverte come un matto,
non stiamo facendo niente di particolare eppure tutto
lo entusiasma, tutto lo sorprende piacevolmente,
trasmette questa sensazione anche a noi.
Cuba è magia, ripenso tra me e me.
Rientriamo a piedi facendo almeno tre chilometri
insieme, parliamo del più e del meno, scherziamo,
ridiamo.
Mi rendo conto che mi sono liberato degli stress che
il sistema di vita europeo comporta, il fuso orario
non mi dà più fastidio, e il mio stomaco si è quasi
abituato completamente a un’alimentazione diversa,
mi sento tonico come non mi sentivo da mesi.
Ho ancora voglia di scherzare, ho ancora voglia di ridere.
Ci salutiamo poche centinaia di metri da casa mia, la
serata è scivolata via lentamente, piacevolmente, mi
sono goduto ogni attimo.
Entro in camera, spengo la luce grande, accendo
una abat jour di vetro verde e arancione saldata con
il piombo, sfilo la Lacoste e mi accendo una sigaretta.
Penso come siano bastati questi pochi giorni lontano
da telegiornali, telefonini che squillano di continuo,
pubblicità che ci bombardano con tette siliconate
e culi ritoccati con Photoshop, per portarmi in
una dimensione diversa, fatta di cose semplici, vere.
Penso al culo della “ trigheña “ e mi addormento felice.
Il giorno dopo mi alzo di buon’ora, ho fame, divoro
un paio di uova strapazzate con prosciutto tagliato
un pò troppo spesso, tre banane, pane tostato con
miele, burro e marmellata, tracanno una caraffa di
succo d’arancia, caffè e mi accendo una sigaretta.
In casa c’è un pò di agitazione, sono arrivati altri due
ospiti canadesi che parlano solo l’inglese, hanno un
tono molto pretenzioso, Harberto è un pò teso.
Preparo la mia borsa per il mare e me ne vado.
Il mio amico taxista mi lascia come sempre in prossimità
della strada principale che fiancheggia la
spiaggia dopo aver percorso una stradina di sua
conoscenza.
Cerca sempre di evitare le strade più trafficate nella
speranza di non incontrare la polizia.
Per arrivare in spiaggia devo percorrere un tratto di
prato sabbioso ricco di vegetazione a me piuttosto
sconosciuta.
Anche se è mattino, il taglio di luce sull’acqua è già
abbastanza diretto, da l’idea di un sussurro che deve
svegliare il mondo e i raggi già così forti ti fanno capire
che la giornata sarà piena di vita.
E’ impossibile rimanere fermi in un mondo dove la
natura offre i suoi doni a piene mani.
La vegetazione è in movimento continuo, non ci
sono stagioni completamente morte dove nessun
frutto sia disponibile.
L’oceano poi è un pianeta diverso dal mare a cui
siamo abituati.
E’ meno arido, più generoso.
Quasi tutti i giorni ragazzi con grossi pesci in spalla,
appena pescati semplicemente con una fiocina,
passano in rassegna tutti gli ombrelloni cercando di
venderli a qualche turista per pochi dollari.
Tutto qui è generoso, basta fare quattro passi
nell’acqua e rendersi conto di cosa c’è nella barriera
corallina, metti la testa sotto e scopri il mondo marino,
non solo sabbia e poi ancora sabbia, ma una vita
che pulsa fatta di creature che si muovono senza
fretta, alghe di ogni tipo, piccoli promontori e insenature
visibili appena sotto la superficie, conchiglie e
pesci colorati...
In spiaggia non c’è ancora nessuno, il chiosco è
ancora chiuso.
Mi sistemo sotto a un ombrellone fatto con le foglie
di canna e mi addormento.
Quando mi sveglio ho in bocca il sapore di chi ha
respirato troppo vicino alla sabbia, nelle ossa la sensazione
di chi si è addormentato sulla rena troppo
umida, mi sento abbastanza rincoglionito.
Alla mia sinistra non c’è ancora nessuno, alla mia destra
un paio di coppie un pò stonate, composte da lui turista
e lei cubana, hanno preso posto sotto gli ombrelloni di canna.
Dal chiosco Ramon mi saluta sventolando una mano
al grido di: ITALIANO !
Ricambio il saluto urlando: Ramon! e con l’indice
puntato, prima sui miei occhi e poi sulla borsa appesa
sotto le foglie rinsecchite, gli chiedo silenziosamente
di dargli un’occhiata prima di allontanarmi per un pò.
Per rassicurarmi che avrebbe pensato lui alla mia
borsa, si mette una mano sul cuore e con l’altra volge
il pollice verso l’alto.
Ho un paio di bermuda e una felpa, decido di tenerla,
mi avvicino all’acqua a piedi nudi e accenno un passo
quasi di corsa verso un lontano promontorio.
Quando arrivo un’ora dopo, vedo in lontananza che
la mia borsa è ancora lì che penzola dall’ombrellone;
Ramon ha fatto buona guardia.
A Ramon non gliene fotteva un cazzo della mia borsa,
Ramon è un figlio di puttana.
Ramon è la persona più stonata che ho visto ai Caraibi.
E’ l’incrocio tra un barista unto e una vecchia puttana
che nessuno vuole più.
E’ la prima persona che vedo scorazzare sulla
spiaggia con dei mocassini neri e delle calze di lana
marroni, i pantaloni sono anche loro neri, quattro
dita troppo corti, ma lo vedi solo da vicino che sono
di color nero, sono talmente unti che da lontano in
certe zone riflettono il sole e talmente sporchi che
starebbero in piedi anche se non ci fossero dentro le
sue gambe rinsecchite, sembrano un paio di pantaloni
di lamiera.
Ramon dice sempre le stesse cose, fa sempre le
stesse battute a tutti, è simpatico per tre giorni, le
sue risate fragorose sono senza emozione, è solo un
rumore che esce dalla sua gola.
E’ una puttana che finge di godere e più è vecchia,
più deve sforzarsi di fingere.
Ramon si sbaglia regolarmente a darti il resto, se fai
il brillante e lasci correre, dopo un pò prova a non
dartelo più.
Vicino al mio ombrellone c’è un muratore bergamasco
sui quarantacinque anni, parla un italiano imbastardito
con il suo dialetto, persino io faccio fatica a capire cosa dice.
Ramon non capisce nemmeno l’italiano corretto, ma
quel dialetto bergamasco sembra che lo capisca
benissimo; lui parla e Ramon ride, più lui parla con
enfasi, più Ramon ride forte, più lui consuma, più
Ramon si tiene il resto.
Penso a quanti paia di pantaloni potrebbe comprarsi
solo con il resto mai restituito al bergamasco durante
la permanenza sull’isola.
Però a Ramon i pantaloni piacciono solo neri, neri e
usati, usati e sporchi.
Ci sono un gruppo di ragazze che girano per la
spiaggia, sono tutte mulatte, giovani e piene di vita,
tre di loro vengono verso di me: sono in gruppo si
sentono sicure, cominciamo a scherzare come se ci
conoscessimo da anni.
Sono molto simpatiche e ridono per qualunque cosa
coinvolgendo tutti.
Una di loro si chiama Aliuska, ha diciassette anni.
Mi faccio ripetere il nome, non me lo ricordo, la chiamo
storpiando una parola a caso e lei ride, me lo
scrive sulla sabbia, la richiamo e sbaglio ancora e lei
me lo riscrive nuovamente sulla sabbia; si avvicina a
tre dita dal mio naso e mi dice: tonto! tu eres tonto!
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e scoppiamo a ridere tutti e due.
Non ci guardiamo quasi mai dritti negli occhi, ma
quando mi giro me li sento addosso i suoi occhi,
quando lei si gira la guardo di continuo.
Non la desidero sessualmente nel modo più assoluto.
E’ bella, non bellissima, ben fatta, giovane, sana, e
soprattutto vivace, ma non vorrei possederla.
Penso che se avessi una figlia le assomiglierebbe,
ha delle movenze che mi sono familiari, ha delle
espressioni del viso decise, le leggo in faccia quello
che pensa, è come un libro aperto per me, e io lo
sono per lei.
Salta come una cavalletta da un ombrellone all’altro
ma finisce sempre sotto il mio, si siede sulla sabbia
vicino a me, ma dopo due minuti si è impossessata
completamente del mio asciugamano, vado in acqua
e arriva lei, vuole giocare, vuole fare i tuffi, mi sale in
spalla, se potesse mi salirebbe sulla testa.
Ci immergiamo sott’acqua e lei viene dritta verso di
me, nuota come un piccolo delfino, mi passa una
mano sul viso, mi sembra di vederla ridere sott’acqua.
Alle cinque mi chiede come rientro a Cienfuegos, le
dico che ho un “particular” con una macchina che
mi aspetta, sono in macchina da solo.
Le do un passaggio.
Il mio amico tassista mi aspetta orgoglioso appoggiato
alla sua Ford del ‘59 a petrolio, cinquemila di
cilindrata; è abbastanza ben tenuta.
Lei salta sul sedile posteriore di pelle verde lavorata a
mano e sparisce quasi in mezzo a tutto quello spazio.
Io chiacchiero delle solite cose col taxista, lei non
dice una sola parola durante il viaggio, la sento serena,
rilassata.
Alle prime case di Cienfuego sento la sua mano sulla
mia spalla e le sue uniche parole sono: pàrate a qui.
Il mio amico si ferma e lei salta giù salutandomi con
la mano.
Aliuska diventerà la mia ombra, per tutta la vacanza,
dove ci sono io, proverà ad esserci anche lei.
Rientro e fortunatamente non sento la presenza della
figlia in casa, so dalla ragazza che mi tiene ordinata
la stanza, che è andata qualche giorno da sua madre.
Meglio, penso tra me e me; una delle cose che ho
imparato qui è di non disperdere troppo le energie,
anche solo quelle propositive; qui le cose riescono
molto più facilmente che da qualsiasi altra parte ma
devi volerle veramente, devi essere concentrato su
cosa vuoi; e io ho la mente, il cuore e anche qualche
altra parte del mio corpo, tutti concentrati sulla
“trigheña “.
Dopo cena indosso qualcosa di mio gusto, mi faccio
la barba e mi incammino verso il Palatino.
Appoggiato al banco del bar non faccio in tempo ad
assaggiare il mio Caney, che sento arrivare una persona
in mezzo a tante altre, mi giro quasi di scatto,
ed è lei, io la guardo serio come per vedere la sua
reazione, lei ha un sorriso quasi nervoso: anche lei è
un pò emozionata, io abbozzo un ciao, lei si appoggia
al banco del bar, al mio fianco, ordina un caffè,
mi guarda, io sorrido e lei incomincia a parlare.
Il suo nervosismo le fa saltare le fasi di presentazione
tipiche dei comportamenti cubani, cerca di parlarmi
come se mi conoscesse da sempre, il suo tono
è carico di emozione di tensione.
Parla cercando di dare per scontato nella sua mente
di piacermi, cerca di autoconvincersi o perlomeno di
non avere dubbi sul fatto che lei mi piaccia.
E’ molto sicura ma vuole ostentare una maggiore
padronanza di se in modo eccessivo, tanto da cadere
nel tranello che lei stessa sta cercando abilmente
di evitare: tradire una qualunque minima insicurezza.
Parla di continuo, parla, parla e io la studio, non riesco
proprio a farne a meno.
E’ la persona cubana più nervosa e orgogliosa che
abbia mai incontrato.
Persino i tratti del suo viso tradiscono il suo orgoglio.
Non è come le altre, non è disposta a scendere troppo
a patti con la propria mediocrità per avere quello
che vuole.
O fuori o dentro l’inferno, nell’ultimo girone però,
quello più atroce.
Per lei vie di mezzo non ci sono.
Lei sa che non mi fermerò in quel luogo in eterno.
Lei sa che ha poco tempo per spaccarmi lo sterno
con un pugno, infilarmi una mano dentro e strizzarmi
il cuore facendolo sanguinare fino a quando non
smette di battere e, guardandomi negli occhi, strapparlo
e portarselo alla bocca per nutrirsi.
Nel gioco delle parti vorrà fare in modo che io mi
ricordi di lei per sempre.
Ma per poter scrivere il suo nome con un chiodo
arrugginito sul mio cuore, dovrà cimentarsi in un
balletto di sensazioni acute, per diventare eterna
nella mia mente, nella mia anima, dovrà spingersi oltre.
Non è la quantità che conta, ma la qualità, e la qualità
non si improvvisa, ci sono persone, davvero poche,
predisposte a scalare queste vette emotive e altre no.
Lei è un’eletta.
A Cuba c’è magia, per qualcuno questa magia è nera.
Alcuni la gestiscono e altri la subiscono.
La “trigheña” si chiama Yaneisy.
Se fosse nata seimila anni fa in seno al popolo dei
Maya, sarebbe stata la loro regina, la sacerdotessa
officiante al rito dei sacrifici umani.
Forse questa volta tocca a me, forse sono io la vittima
prescelta, penso.
Se anche fosse sono disposto a giocare fino in fondo.
A volte crediamo di poter decidere noi, ci illudiamo che
il destino si possa cambiare senza pensare mai che in fondo
potremmo essere solo delle pedine, parti dentro un
meccanismo più grande dove tutto è già stato deciso.
Perchè morire a vent’anni in una curva ?
Perchè non posso morire con uno spillone woodoo
piantato nel cuore?
A vent’anni muori in una curva per un calcolo
impreciso delle tue possibilità.
Il woodoo uccide solo mediante calcolo meticoloso,
gestendo forze occulte, sconosciute solo a noi
stupidi e increduli occidentali.
Yaneisy questo lo sa.
Siamo ancora al Palatino, io continuo a studiarla e lei
continua a parlare, parla ancora, ride e parla, non ha
una cultura vasta ma il suo taglio mentale è nobile.
Emana un’energia fortissima.
Ci sediamo ad un tavolo.
Arriva uno dei ragazzi toscani, si siede con noi, lei si
rilassa un pò, arriva anche la sua amica bionda, ci
presentiamo, si siede e ordiniamo da bere.
Yaneisy è alla mia destra, molto vicina, mi sorride di
continuo, io non penso di avere espressioni di gioia
sulla faccia, provo solo una sensazione di desiderio
inconscio, la voglio.
Prende una sigaretta dalla borsetta e appoggiando
una mano sulla mia gamba mi chiede di accendere.
Una vampata di calore mi raggiunge l’inguine: non
posso crederci, ho passato i quaranta e un semplice
contatto riesce a darmi delle emozioni così forti,
credo di essere diventato rosso in viso.
Voglio godermi anche quest’attimo lentamente, con
calma le accendo la sigaretta.
Ci salutiamo rimanendo intesi che ci saremmo rivisti
la sera dopo, più o meno alla stessa ora.
Cammino verso casa e una strana sensazione aleggia
dentro di me.
Entro in camera e mi infilo sotto la doccia, ho ancora
il suo profumo sulle mie mani, non vorrei lavarlo via.
Mi riannuso le mani e penso a lei.
Dal bagno posso vedere la camera da letto illuminata
solo dall’abat jour, vorrei rigirarmi e vederla inginocchiata
sul mio letto, nuda, inarcata come un giunco,
vorrei che voltasse il viso verso di me, vorrei
avvicinarmi lentamente, vorrei vedere sul suo volto
una disponibilità totale e la voglia di darsi completamente.
Vorrei...
Mi accendo una sigaretta e mi butto sul letto.
Il giorno dopo inizia sempre allo stesso modo, con il
prosciutto tagliato un pò troppo spesso.
Oggi non vado al mare, ieri ho preso troppo sole, ho
un appuntamento con un amico di Firenze alle dieci
e mezza al cafè del boulevar.
Caffè, sigaretta e chiacchiere.
Il mio amico ed io abbiamo lo stesso modo di osservare
le cose, le persone, le situazioni.
Ci piace pensare come si potrebbe per vivere in un
posto come questo, ipotizzando mille situazioni ma
sempre in maniera realistica, smontiamo e rimontiamo
discorsi che non sono poi così improbabili.
Mi racconta della sua vita a Firenze, è ossessionato
dal traffico, ha l’incubo dei parcheggi...
Ci proponiamo nuove sfide, ci chiediamo con quanti
dollari al mese riusciremmo a vivere a Cuba.
Andiamo alla ricerca di ristoranti per cubani, dove
puoi mangiare con un dollaro, (devi avere uno stomaco
pronto a tutto...); ma non è la spesa che ci interessa:
lo scopo è quello di riuscire a spingersi oltre
le apparenze, di riuscire a mangiare, dormire,
spostarsi con poco denaro, da stipendio cubano insomma.
Ci rendiamo conto che per noi occidentali sarebbe
quasi impossibile.
Una sfida quasi inaccettabile, durissima.
Parliamo di donne, parliamo di figa.
Anche lui è da qualche giorno che non batte chiodo.
Anche lui ha l’ormone abbastanza alto.
Arrivano due ragazzotte che lo conoscono, scherzano
con noi, mi rendo conto di quanto non mi interessino
e di quanto il sentimento sia ricambiato.
Ormai è pomeriggio inoltrato, quasi quasi mi avvio
verso casa e vado a dormire un paio d’ore.
Saluto e me ne vado.
Alla sera lo rivedo all’incrocio del boulevar, è tranquillo,
rilassato, si è fatto fare un “lavoretto di bocca”
dalle due ragazze.
Dove?-
Dietro a una siepe.-
Non mi risparmia i particolari e mi racconta la scena:
una in piedi che controllava che non arrivasse nessuno
e l’altra inginocchiata che glielo succhiava.
Quella in piedi ogni tanto si girava indietro a guardare
cosa facevano e allora quella che succhiava sembrava
che volesse dimostrarle quanto era porca: guardava
l’amica e cominciava a roteare la lingua intorno
alla punta in modo da poter essere vista, succhiava e
faceva scorrere la lingua fino contro i testicoli, l’importante
era che l’amica guardasse.
Forse sapeva che l’amica si sarebbe eccitata.
Effettivamente...
Non guarda più se arriva qualcuno, guarda in silenzio
la bocca della amica scivolare avanti e indietro,
lui si rende conto che forse è la più eccitata del
terzetto, le fa segno di avvicinarsi, le tira su la gonna
e infila una mano nelle mutande, è bagnata fradicia,
ha il clitoride gonfio.
Le prende una mano e glielo fa afferrare, è quasi paralizzata
tanto è eccitata, deve aiutarla a cominciare
a far scorrere la mano avanti indietro, prende il ritmo
e non si ferma più.
Quella inginocchiata rimane lì, adesso è lei che guarda,
storge la faccia aprendo bene la bocca, allunga
la lingua quando lo sente venire.
Il mio amico mi accompagna verso il Palatino ma
non entra, gli ho parlato della ragazza che ho conosciuto
e preferisce non creare interferenze, devo
essere concentrato su di lei, ci salutiamo e se ne va.
Arrivo a Palatino pochi secondi prima di Yaneisy.
Ha le scarpe con il tacco, una gonna stretta con lo
spacco, maglietta nuova, borsetta intonata con le
scarpe e trucco meticoloso.
Forse le labbra sono un pò troppo rosse.
Arriva anche l’amica bionda con un ragazzo.
Ci portano a bere sulla terrazza di un hotel.
La musica cubana aleggia ovunque, qui è più armoniosa
che in altri luoghi, beviamo un perfetto mojito
in un bicchiere pulito.
Chiacchieriamo della vita a Cuba.
Paghiamo qualche dollaro, ci alziamo e ci allontaniamo
dal tavolo, la bionda e l’amico sono alcuni metri
davanti a noi, non abbiamo nessuna intenzione di
raggiungerli.
La sento vicinissima, lei si aspetta qualcosa da me,
ce l’ho di fronte a trenta centimetri, ho un nodo in
gola, so che devo farlo, le dico che mi piace, mi
piace da impazzire! La tensione sale altissima, lei
si gusta lentamente l’attimo e con voce suadente
mi chiede di ripeterlo e io lo faccio con la voce che
vibra di emozione.
Ci baciamo e ci baciamo ancora.
Sento la tensione che se ne va e il pensiero che forse
mi sono cacciato in un guaio svanisce.
Non è ancora mezzanotte ma lei deve rientrare, a
casa c’è un bambino di cinque anni che l’aspetta,
glielo guarda sua madre fino alle undici, undici e
mezza, poi sua madre se ne deve andare.
Yaneisy non è sicuramente tra le pù belle di Cuba,
ma sicuramente è quella che mi piace di più.
Mi sento un Dio, ho baciato quella che volevo veramente,
la più bella per me.
Cammino mezzo metro da terra, sono fuori di testa,
ho voglia di festeggiare.
C’è una discoteca aperta a un paio di chilometri,
so che ci sarà qualcuno che conosco e accelero il passo.
Entro e subito vedo il tavolo dei due toscani, si girano
e mi salutano quasi con un urlo, mi sale l’adrenalina
nel sangue, ci abbracciamo come se fossimo
reduci da chissà quale guerra.
Come se avessimo segnato chissà quale gol.
Ci sono tre bottiglie di rum aperte sul tavolo, qualche
lattina di coca e tre ragazze che ballano intorno al tavolo.
Mi versano un bicchiere di Bacardi che trangugio al
volo, me ne verso un’altro e un altro ancora.
Le ragazze sorridono, sorridono e ballano.
Il più grande dei toscani ne bacia una senza smettere
lentamente di ballare, io mi avvicino a lei da dietro,
provo ad appoggiarmici contro, lei mi si offre
meglio, mi sta venendo duro e glielo faccio sentire in
mezzo alle chiappe.
Lei comincia a muoversi strusciandosi sempre di più.
Il mio amico la lascia andare, lei si gira e mi infila
la lingua in bocca, dopo un pò mi stacco e mi verso da
bere, trangugio e mi sento una mano intorno ai fianchi,
è l’amica che sta ballando vicino a me.
Comincio a muovermi al ritmo della musica, lentamente,
lei sorride, mi passa davanti e comincia a strusciare il
culo contro la mia patta, la giro e la bacio per un pò.
Mentre la bacio arriva il toscano più giovane e da dietro
le strizza le tette strofinandosi contro il culo, lei si gira
e la prende lui.
Siamo nel mezzo di una discoteca gremita di persone,
in realtà non so più dove sono...
Cerco di versarmi del rum ma non ce n’è più.
Mi precipito al bar a prendere una bottiglia.
Appoggiata al bancone c’è una mulatta molto appariscente,
da ogni poro della pelle sprigiona vitalità,
la sfioro un pò troppo vigorosamente ma lei non si
muove, ci guardiamo per un attimo e con il gomito
quasi per caso, mi appoggio contro due seni duri
come il marmo, non dice niente, ne approfitto per
provare a strizzarglieli con la mano.
In quel momento è come se mi avesse detto “scopami,
dai scopami qui”.
Le infilo la lingua in bocca, comincio a palparle il
culo con forza, ci sta, continuo con insistenza.
Sono fuori di me...
Continuo a baciarla contro il bancone del bar, le
voglio infilare una mano nelle mutandine, non vuole,
insisto, ma lei niente.
Sento che si sta raffreddando, forse ho esagerato un
pò, lei non è ubriaca.
Pago la bottiglia e mi ributto nella mischia.
Il giorno dopo il mal di testa mi abbandona verso
mezzogiorno.
Sono rientrato senza sapere da che parte sono
passato, non ricordo chi mi ha portato a casa e non
lo voglio ricordare, non ricordo i nomi delle ragazze,
forse non me lo hanno mai detto, non voglio pensare
a Yaneisy, adesso no.
L’odore del rum mi fa schifo, il fumo mi avvelena,
voglio solo riposare.
Riposare ancora.
Nei giorni seguenti rivedo Yaneisy, ma è un rapporto
difficile, teso, lei ha un potere su di me devastante,
quasi rovinoso, è una settimana che ci frequentiamo
e non si è ancora fatta scopare e io sto al suo gioco.
Passo le serate con lei a camminare nel parco,
parliamo, discutiamo ma soprattutto litighiamo su
qualunque cosa.
Alle undici e mezzo, l’accompagno sempre verso casa.
Nel tragitto che va dal parco a casa sua, ogni angolo
buio è buono per tentare un approccio, dentro ogni
portone aperto cerco di spingerla, ci provo in ogni luogo,
tento di infilarle le mani sotto la gonna ma lei niente.
Niente di niente...
Si lascia baciare e basta.
Ogni qual volta che i miei tentativi si fanno più audaci,
parte il messaggio registrato:
Mi dice che anche lei vorrebbe far l’amore, ma nel
posto giusto, in casa.
In casa, sì, ma dove ?
Portare una ragazza in casa a Cuba è diventato
un’impresa difficilissima.
Il sistema combatte ogni forma di rapporto fra turisti
e ragazze cubane, presumendo si tratti quasi sempre
di prostituzione, e la prostituzione viene contrastata
in modo assai rigoroso.
Puoi portare una ragazza in casa o in albergo solo se
è la tua ragazza “ufficiale”, cioè se entrambi vi siete
fidanzati recandovi nell’apposito ufficio presso
l’immigrazione, dove apporre i nominativi sull’apposito
albo, dopodichè vi viene rilasciata una carta con la
quale potete entrare ovunque, con la ragazza cubana
naturalmente.
II problema è che se una ragazza si iscrive con
qualcuno rimane ad esso legata per un anno.
Se la beccano con un’altro finisce in galera per prostituzione
anche se magari è una onesta, magari solo un pò ingenua.
Per questo che prima di fare dei passi falsi ci pensano bene.
Chiaramente questa prassi vale solo per il connubio
cubana - straniero.
Il ragionamento più facile per un italiano sarebbe quello
di provare a dare qualche mancia al pa
Leggi le recensioni ESCORT e non farti fregare, trova la ESCORT nella tua cittàos_car86
04/05/2013 | 13:19
Newbie
Infatti , ma secondo te se avevo 10.000 euro li spendo per aprire un Fkk ..
al limite li spendo per aprire le ragazze dentro gli Fkk . .
:-D
4/10/2013 Gnoccatravels è tornato più forte è più bello di prima
os_car86
04/05/2013 | 13:21
Newbie
Si ma e impossibile leggere cosi !!!! meglio un allegato da scaricare o fai una recensione tua , fatta bene però
4/10/2013 Gnoccatravels è tornato più forte è più bello di prima
pacciani
04/05/2013 | 14:35
Newbie
ha ragione oscar,,,,,wiking,,,,che pretendi,,,, che leggiamo quel mezzo lenzuolo ?? :-?
vittorio,,,,bella recensione,,,anche io sono stato a l'habana,,,,ma tutta questa difficolta nei locali a trovare pay,,,,mica l'ho trovata,,,,,che volendo si rimediava in 5 minuti,,,, certo se una cerca proprio la modella brasiliana,,,allora ci vole qalche ora ,,,ma comunque era bassa stagione,,,, :-h
Trova Camere
Forzanat
05/05/2013 | 22:37
Moderatore
@wiking, mi sa che hai sbagliato sito a postare il tuo racconto, questo è un sito dove si scambiano informazioni da Gnocca Travel, a che serve la tua recensione??? Vuoi sentirti dire che sei bravo o che il tuo racconto è bello?? niente di personale....
dankobox
06/05/2013 | 23:29
Newbie
una precisazione...la sim cubana non la possiamo comprare a meno che non abbiamo la residenza in cuba. possiamo comprare quella di un cubano ma e
INCONTRA DONNE VOGLIOSEuna cosa da non fare mai perche spesso dopo che te la vendono denunciano lo smarrimento e se ne rippropiano con relativo saldo....quello che potete fare da turisti e
noleggiarla a 3 cuc al giorno negli ugffici di cubacell.wiking
07/05/2013 | 01:22
Newbie
OK ragazzi avete ragione, mi sembarava di aver scritto qualcosa di bello e l'ho pubblicato nella speranza di dare anche due informazioni indirette su Cuba che potessero servire per muoversi meglio...
Prossimo viaggio a breve dovrebbe essere marrakesh, prometto che mi atterrò all'etica del sito, info su come e dove cuccare...
ciao
Leggi le recensioni ESCORT e non farti fregare, trova la ESCORT nella tua cittàfructabomba85
07/05/2013 | 01:56
Newbie
@wiking a me è piaciuto, anche se aveva i connotati più di romanzo piuttosto che racconto GT :))
INCONTRA DONNE VOGLIOSEForzanat
07/05/2013 | 09:40
Moderatore
@wiking, @fructabomba85, nessuno ha detto che è brutto, certo che se uno cerca info e si deve leggere il malloppone..... @wiking nessuno vuole toglierti la vena poetica e narrativa, puoi mettere prima le info dirette e poi ti diletti con il romanzo, che dici??
Leggi le recensioni ESCORT e non farti fregare, trova la ESCORT nella tua cittàHermanPalomares
07/05/2013 | 10:47
Silver
Qua molta gente non legge 2 righe figurati
...... dopo lo leggo perché oggi passerò tutto il giorno in ospedale , se no ....
INCONTRA DONNE VOGLIOSECarlo76
11/05/2013 | 11:06
Newbie
Viking ma. Almeno finiscilo il racconto.........