E le prostitute senza più clienti si mettono in coda alla Caritas
DI GIAMPAOLO VISETTI
«Abbiamo fame e nessuno ci aiuta. Prima per strada lavoravamo, adesso ci finiamo a dormire negli scatoloni. Senza clienti non possiamo più pagare l’affitto di una stanza. Di coronavirus si può morire anche senza prendere la polmonite». Poco dopo mezzogiorno quattro ragazze sono in coda davanti alle cucine economiche popolari di Padova. Tre straniere e un’italiana: poco più che ventenni, non sembrano studentesse. «Fino a un mese fa — dice Gloria, partita tre anni fa dalla Nigeria — a quest’ora ero appena andata a letto. Ora, già all’alba, mi svegliano i crampi della fame. La vergogna questa volta può fare una strage».
La catastrofe del coronavirus in Italia travolge anche 120 mila prostitute. Il divieto di uscire di casa, le norme sul distanziamento sociale e la chiusura dei locali, azzerano un business da 4 miliardi all’anno. Le vittime sono donne e transessuali: il 55% è extracomunitario, spesso clandestino, quasi sempre schiavo di tratte e sfruttatori. Per queste invisibili, più esposte al contagio e prive di assistenza medica, non ci sono aiuti.
Le ragazze in fila
L’epidemia fa esplodere nuove povertà ed emarginazioni diverse. «A pranzare qui — dice suor Albina — vengono in 170 al giorno. Quasi tutti anziani, disoccupati, migranti e senza fissa dimora. Per la prima volta vedo impennare il numero delle ragazze che cercano cibo. Non chiediamo chi sono, ma la professione perduta è chiara». Sei prostitute su dieci, fino ai primi di marzo, vendevano sesso per strada. La maggioranza pagava una quota a chi le sfruttava e spediva il resto alla famiglia in patria. Poche quelle che hanno dei risparmi. «Difficile stimare quante sono ridotte alla fame — dice don Luca Facco, direttore della Caritas padovana — ma chi adesso ci chiede aiuto, ne ha davvero bisogno. Questo virus sconvolge anche il profilo delle emergenze: i prossimi mesi, per chi precipita nella povertà, si annunciano durissimi».
La fame e la paura
Ancora di più per chi è piegato dal peso dello stigma sociale. «Queste donne — dice Pia Covre, che con Carla Corso ha fondato il Comitato per i diritti civili delle prostitute — ora hanno fame. Più ancora, hanno paura. La maggioranza non osa nemmeno chiedere aiuto. Se non esercitano ogni giorno il mestiere, non sanno di cosa vivere e sono ancora più esposte alle violenze. Da giorni ricevo centinaia di messaggi: ragazze che domandano dove possono trovare cibo. Qualcuna, che ha da parte dei soldi, aiuta le amiche che hanno bambini». L’idea è istituire un fondo di sostentamento per chi non può più vendere sesso. «Ex clienti generosi — dice Carla Corso — potrebbero ricordarsi di noi e fare delle donazioni».
Ai margini della strada
Ad affondare, anche altri precari che dipendono dalla strada e dal benessere degli altri: giostrai, circensi, ambulanti, artisti itineranti e stagionali al lavoro nei campi. Tra Lombardia e Veneto, epicentro del contagio, migliaia di famiglie in queste ore vivono la tragedia di non avere niente da mettere sulla tavola. «È un’onda che cresce — dice Luciano Gualzetti, direttore della Caritas Ambrosiana di Milano — con centinaia di nuclei sul lastrico. Molti hanno anche gli animali da nutrire e si affidano alla generosità dei contadini. Non possono mettere in scena i loro spettacoli, le giostre sono ferme. Centinaia di mamme non sanno come sfamare i figli. Il primo mese hanno tenuto duro, adesso non ce la fanno più. Telefonano per le borse della spesa solidale o per ritirare un pasto nelle mense: tra le necessità, anche i prodotti per l’igiene. Nessuno chiede soldi: sono ridotti a farsi bastare un pezzo di pane». I numeri sono questi: più 50% di accessi agli 8 market solidali di Milano. Quasi spariti poveri ed emarginati storici, bloccati in alloggi e comunità. Esplode il sommerso della fame improvvisamente generata da Covid-18, ancora senza data di scadenza. Anche su Caritas, parrocchie e volontariato della solidarietà incombe lo spettro delle difficoltà economiche. «Il 95% di chi sta chiedendo aiuto — dice don Davide Schiavon, direttore della Caritas di Treviso — è in emergenza alimentare. Per anni abbiamo pagato affitti e bollette, adesso compriamo farina. Qui ci sono 70 famiglie di giostrai, oltre 400 persone, che mangiano a turno ogni due giorni. Da ieri mi hanno chiamato 8 prostitute rimaste senza cibo: mai successo, nemmeno durante le guerre e dopo la crisi finanziaria del 2008: dobbiamo pensare subito al microcredito, nessuno deve essere lasciato morire di fame».
L’ostacolo della vergogna
A preoccupare, tra Bergamo, Brescia e Vicenza, le periferie urbane e i territori abbandonati anche dalla solidarietà organizzata. «Qui — dice Filippo Monari, direttore della Caritas bresciana — ammettere il bisogno fa vergognare. La sfida sarà intercettare la fame prima che uccida, come un osceno virus tollerato dall’umanità». A Brescia, la sera, le prostitute si mettono in fila a un metro e mezzo di distanza. Prima erano al lavoro lungo le strade dirette al lago di Garda. Oggi anche loro sono sole, in coda per una tazza di minestra.
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asceta_pentito
02/04/2020 | 11:31
Newbie
https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2020/04/01/news/e_le_prostitute_senza_piu_clienti_si_mettono_in_coda_alla_caritas-252915982/
E le prostitute senza più clienti si mettono in coda alla Caritas
DI GIAMPAOLO VISETTI
«Abbiamo fame e nessuno ci aiuta. Prima per strada lavoravamo, adesso ci finiamo a dormire negli scatoloni. Senza clienti non possiamo più pagare l’affitto di una stanza. Di coronavirus si può morire anche senza prendere la polmonite». Poco dopo mezzogiorno quattro ragazze sono in coda davanti alle cucine economiche popolari di Padova. Tre straniere e un’italiana: poco più che ventenni, non sembrano studentesse. «Fino a un mese fa — dice Gloria, partita tre anni fa dalla Nigeria — a quest’ora ero appena andata a letto. Ora, già all’alba, mi svegliano i crampi della fame. La vergogna questa volta può fare una strage».
La catastrofe del coronavirus in Italia travolge anche 120 mila prostitute. Il divieto di uscire di casa, le norme sul distanziamento sociale e la chiusura dei locali, azzerano un business da 4 miliardi all’anno. Le vittime sono donne e transessuali: il 55% è extracomunitario, spesso clandestino, quasi sempre schiavo di tratte e sfruttatori. Per queste invisibili, più esposte al contagio e prive di assistenza medica, non ci sono aiuti.
Le ragazze in fila
L’epidemia fa esplodere nuove povertà ed emarginazioni diverse. «A pranzare qui — dice suor Albina — vengono in 170 al giorno. Quasi tutti anziani, disoccupati, migranti e senza fissa dimora. Per la prima volta vedo impennare il numero delle ragazze che cercano cibo. Non chiediamo chi sono, ma la professione perduta è chiara». Sei prostitute su dieci, fino ai primi di marzo, vendevano sesso per strada. La maggioranza pagava una quota a chi le sfruttava e spediva il resto alla famiglia in patria. Poche quelle che hanno dei risparmi. «Difficile stimare quante sono ridotte alla fame — dice don Luca Facco, direttore della Caritas padovana — ma chi adesso ci chiede aiuto, ne ha davvero bisogno. Questo virus sconvolge anche il profilo delle emergenze: i prossimi mesi, per chi precipita nella povertà, si annunciano durissimi».
La fame e la paura
Ancora di più per chi è piegato dal peso dello stigma sociale. «Queste donne — dice Pia Covre, che con Carla Corso ha fondato il Comitato per i diritti civili delle prostitute — ora hanno fame. Più ancora, hanno paura. La maggioranza non osa nemmeno chiedere aiuto. Se non esercitano ogni giorno il mestiere, non sanno di cosa vivere e sono ancora più esposte alle violenze. Da giorni ricevo centinaia di messaggi: ragazze che domandano dove possono trovare cibo. Qualcuna, che ha da parte dei soldi, aiuta le amiche che hanno bambini». L’idea è istituire un fondo di sostentamento per chi non può più vendere sesso. «Ex clienti generosi — dice Carla Corso — potrebbero ricordarsi di noi e fare delle donazioni».
Ai margini della strada
Ad affondare, anche altri precari che dipendono dalla strada e dal benessere degli altri: giostrai, circensi, ambulanti, artisti itineranti e stagionali al lavoro nei campi. Tra Lombardia e Veneto, epicentro del contagio, migliaia di famiglie in queste ore vivono la tragedia di non avere niente da mettere sulla tavola. «È un’onda che cresce — dice Luciano Gualzetti, direttore della Caritas Ambrosiana di Milano — con centinaia di nuclei sul lastrico. Molti hanno anche gli animali da nutrire e si affidano alla generosità dei contadini. Non possono mettere in scena i loro spettacoli, le giostre sono ferme. Centinaia di mamme non sanno come sfamare i figli. Il primo mese hanno tenuto duro, adesso non ce la fanno più. Telefonano per le borse della spesa solidale o per ritirare un pasto nelle mense: tra le necessità, anche i prodotti per l’igiene. Nessuno chiede soldi: sono ridotti a farsi bastare un pezzo di pane». I numeri sono questi: più 50% di accessi agli 8 market solidali di Milano. Quasi spariti poveri ed emarginati storici, bloccati in alloggi e comunità. Esplode il sommerso della fame improvvisamente generata da Covid-18, ancora senza data di scadenza. Anche su Caritas, parrocchie e volontariato della solidarietà incombe lo spettro delle difficoltà economiche. «Il 95% di chi sta chiedendo aiuto — dice don Davide Schiavon, direttore della Caritas di Treviso — è in emergenza alimentare. Per anni abbiamo pagato affitti e bollette, adesso compriamo farina. Qui ci sono 70 famiglie di giostrai, oltre 400 persone, che mangiano a turno ogni due giorni. Da ieri mi hanno chiamato 8 prostitute rimaste senza cibo: mai successo, nemmeno durante le guerre e dopo la crisi finanziaria del 2008: dobbiamo pensare subito al microcredito, nessuno deve essere lasciato morire di fame».
L’ostacolo della vergogna
Ragazze Italiane Amatoriali in video chat su RIVA preoccupare, tra Bergamo, Brescia e Vicenza, le periferie urbane e i territori abbandonati anche dalla solidarietà organizzata. «Qui — dice Filippo Monari, direttore della Caritas bresciana — ammettere il bisogno fa vergognare. La sfida sarà intercettare la fame prima che uccida, come un osceno virus tollerato dall’umanità». A Brescia, la sera, le prostitute si mettono in fila a un metro e mezzo di distanza. Prima erano al lavoro lungo le strade dirette al lago di Garda. Oggi anche loro sono sole, in coda per una tazza di minestra.