Nello strip-bar, puzzolente di birra e sigarette, come solo i pub londinesi e le loro moquettes possono essere, le ragazze che ciondolano in attesa del loro turno sul palcoscenico addosso non hanno già quasi niente. Tanga di lustrini e paillettes, mutandine di tulle pastello, le più coperte sfoggiano baby doll e négligé. Hanno poco da levarsi di dosso perché questo show non è l’arte dello spogliarello, la magia della seduzione lenta e sensuale. Qui le ragazze saltano sul palco quando arriva il loro pezzo pop e spalancano le gambe a compasso. Prima davanti. Poi di dietro.
Dire che ballano è un eufemismo: del resto gli uomini accalcati intorno al palcoscenico non sembrano proprio interessati a sentire i passi e le mosse che interpretano la musica. A mezzo metro di distanza, ipnotizzati, come in trance, in preda a uno stupore serio e muto, guardano fisso tra le gambe della ragazza. È pornografia live, l’equivalente dal vivo dello sfogliare una rivista porno, di quelle che esaltano solo foto ginecologiche. Sul palco, alle spalle delle ragazze, c’è un mega-schermo che si illumina di goal tra una performance e l’altra, spezzando il surreale mutismo degli astanti in muggiti di ammirazione per un goal del bomber del West Ham Paolo Di Canio o per un dribbling della stella del Liverpool, Michael Owen.
Calcio, birra e sesso. Benvenuti nel tempio della virilità all’inglese. È il trash dello strip-pub, misteriosa vecchia istituzione dell’East End di Londra, emersa dai sotterranei della complicità maschile sull’onda della banalizzazione dello strip-tease arrivata dagli Stati Uniti con il pole e la lap dancing (spogliarelli e danze intorno a un palo o sul grembo dei clienti). In versione più sofisticata nei locali frequentati solo da chi può spendere e spandere; e più casereccia, man mano che si scende verso i bassi redditi.
Ben lontani dall’erotico immaginario collettivo trasmesso dai due film che più hanno interpretato la lap dance: “Exotica”, del canadese Atom Egoyan, e “So Girls” dell’americano Paul Verhoeven.
A Londra, come in tutta l’Inghilterra, gli strip-pub si moltiplicano. Complici nuove leggi che permettono ampia discrezionalità per le licenze di intrattenimento erotico. Dall’America, la grande catena Spearmint Rhino è sbarcata a far concorrenza a locali d’antico pedigree, come Peter Stringfellows, fondatore degli strip-tease d’alto bordo, oggi divenuti ritrovi trendy e lussuosi per l’alta società, gli avvocati o i finanzieri, salotti discreti dove per entrare si paga un occhio della testa.
Lo strip-pub, invece, non pone barriere di ceto o di portafoglio.Uscito dalla clandestinità, tracima dalla capitale verso le periferie, travolge i pub dei villaggi. Del resto serve davvero poco: basta piazzare un palo e trovare l’artista giusta perché anche la più sgarrupata birreria di borgata si trasformi in uno strip-pub. L’ingresso è gratis; ma per ogni strip bisogna pagare una sterlina. E ce ne può essere anche uno ogni tre minuti, il tempo di una canzone. Il pub ritaglia una commissione più o meno infame sul ricavato delle ragazze. E vende il triplo di birre. A Hillingdon, un villaggio alle porte di Londra, ultimamente ne sono comparsi tre in un colpo solo. E le mogli sono scese in piazza, lamentando la scomparsa dei mariti insieme ai risparmi di famiglia. La lap dance può creare dipendenza psicologica, diventare una vera ossessione. «Molti dei clienti sono habitué», conferma il manager di Browns, istituzione dell’East End di Londra, da sempre meta dei traders della vicina City, il polmone finanziario del Paese.
Browns è a meta strada tra il pub classico e i nuovi azzimati night club. Giganteschi gorilla vigilano all’ingresso, filtrando i clienti. C’è il bancone classico con le spine. Ma l’arredamento è fermo alle discoteche anni ’80: sfere di specchietti riflettono una pioggia rotante di lucine sulla moquette lurida, impianto stereo quasi decente e dj professionisti.
Le ragazze, tutte ventenni, sono molto belle ma non extraterrestri: niente tette pneumatiche tipiche del pole dancing made in Usa, un po’ di cellulite e qualche difetto rassicurante. Molte brasiliane, anche molte inglesi. Ragazze della porta accanto, solo molto più sexy. «Guarda Julie», dice Mark, il manager, indicando una brunona coscialunga: «Non è affatto perfetta, però è sexy da morire, sa quel che fa, è very naughty». Ovvero: impertinente o oscena, a seconda da come si intende questa parola.
La brunona è la più richiesta per le private dance, ovvero il bis della sua performance eseguito per un solo cliente nel retrobottega del locale. Cosa voglia dire “Julie sa quel che fa” lo si capisce solo quando sale in scena. La ragazza non ha bisogno di saper ballare. Lancia una delle sue gambe smisurate contro il palo, appoggia la caviglia all’altezza della sua testa, scioglie il fiocchetto del suo tanga e resta vestita solo di un piercing vaginale. Il suo sesso completamente depilato è a un metro dal naso degli astanti. Ma il clou del suo numero deve ancora arrivare: sempre in spaccata verticale, con contrazioni ritmiche fa ondeggiare tutto il suo corpo, inarca i muscoli e, in un gran finale, strimpella con le lunghe dita affusolate la pallina del suo piercing. E i maschi ai suoi piedi, persi in un torpore da testosterone e alcol, ormai fissano un punto infinito tra le gambe di Julie. Che scende dal palco e si avvicina a uno degli uomini che ha già avvinghiato in uno sguardo predatore durante lo show.
«Private dance?», gli chiede. E l’uomo di mezz’età, visibilmente danaroso nel suo cappotto cammello e completo gessato, la segue senza fiatare oltre le tendine del privé. Il via vai di Julie si ripete una decina di volte. «Quando vedi gli uomini qui, impari a capire cose su di loro che altre donne non immaginano. E ti serve poi nella vita, per evitarli», sentenzia. Vista da vicino Julie è bellissima: bruna, grandi occhi azzurri, pelle perfetta, indossa un delizioso completino rosso leopardato bordato di un nastrino di velluto nero e calza zatteroni di ordinanza in plexiglas da 15 centimetri. Ha 26 anni e racconta che questo mestiere lo fa da tre per pagarsi gli studi universitari. Di soldi ne fa tanti. Quando il locale è pieno, sono 150-200 sterline a numero. La media è sulle dieci esibizioni a sera; poi ci sono quelle “private” a 10 sterline l’una. Più sei brava e più ne fai. E Julie è molto brava. E il suo ragazzo che ne pensa? «Lui non li capisce gli uomini che vengono qui: che senso ha guardare senza poter toccare?».
Spiega Julie Cook, fotografa e autrice di un libro sugli strip-pub, “Baby Oil and Icé”: «Qui gli uomini si sentono al sicuro, sono in uno stato completamente passivo, non avvertono alcuna responsabilità, non devono scegliere. Nello stesso tempo hanno l’illusione di sentirsi superiori alle ragazze nude». Superiorità non è la prima parola che viene in mente guardandoli nel privé. Chi è lo sfruttato e chi lo sfruttatore? Difficile rispondere quando si ha davanti questa virilità ubriaca e guardona. Nella penombra, in un ambiente unico, diversi uomini stravaccati sui divanetti fissano con le mandibole sciolte e gli occhi liquidi le lente evoluzioni delle ragazze. A distanza ravvicinata. Le loro mani sono rigorosamente inchiodate sul divano. Le regole sono ferree: si guarda e non si tocca. Chi sgarra, in un secondo si ritrova catapultato per strada da nerboruti e furiosi gorilla.
«Questo è un posto pulito, e le nostre ragazze sono pulite», spiega il manager: «È così che piace ai nostri clienti». Mark è tra quelli che stramaledicono i “cowboy” dello strip-tease, accusati di approfittare della nuova permissività per aprire bordelli travestiti da strip-pub. Da Browns il confine è nettissimo. Il filtro è continuo, inizia all’ingresso col buttafuori che screma i clienti e continua al bancone del bar. Chi non rispetta l’etichetta è mandato via.Come da regola, niente biglietto d’ingresso, ma è tassativo pagare il pound per le ragazze. È su quello che il locale taglia la sua pingue commissione, almeno 150 sterline a sera per artista.
Il business va a gonfie vele, il locale è sempre pieno, anche a pranzo. Manager, muratori, impiegati, intellettuali, professionisti. L’ossessione per le donne nude è la grande livella per ceti sociali diversi tra loro che fuori dal locale non si sfiorano neanche.Mentre qui, appoggiati al bancone e con una pinta di birra tra le mani, si danno di gomito a commento delle evoluzioni in salsa inglese della lap dance.
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GnoccaEstera
12/11/2011 | 18:13
Silver
Locali - night - lap dance Inghilterra, Londra
Nello strip-bar, puzzolente di birra e sigarette, come solo i pub londinesi e le loro moquettes possono essere, le ragazze che ciondolano in attesa del loro turno sul palcoscenico addosso non hanno già quasi niente. Tanga di lustrini e paillettes, mutandine di tulle pastello, le più coperte sfoggiano baby doll e négligé. Hanno poco da levarsi di dosso perché questo show non è l’arte dello spogliarello, la magia della seduzione lenta e sensuale. Qui le ragazze saltano sul palco quando arriva il loro pezzo pop e spalancano le gambe a compasso. Prima davanti. Poi di dietro.
Dire che ballano è un eufemismo: del resto gli uomini accalcati intorno al palcoscenico non sembrano proprio interessati a sentire i passi e le mosse che interpretano la musica. A mezzo metro di distanza, ipnotizzati, come in trance, in preda a uno stupore serio e muto, guardano fisso tra le gambe della ragazza. È pornografia live, l’equivalente dal vivo dello sfogliare una rivista porno, di quelle che esaltano solo foto ginecologiche. Sul palco, alle spalle delle ragazze, c’è un mega-schermo che si illumina di goal tra una performance e l’altra, spezzando il surreale mutismo degli astanti in muggiti di ammirazione per un goal del bomber del West Ham Paolo Di Canio o per un dribbling della stella del Liverpool, Michael Owen.
Calcio, birra e sesso. Benvenuti nel tempio della virilità all’inglese. È il trash dello strip-pub, misteriosa vecchia istituzione dell’East End di Londra, emersa dai sotterranei della complicità maschile sull’onda della banalizzazione dello strip-tease arrivata dagli Stati Uniti con il pole e la lap dancing (spogliarelli e danze intorno a un palo o sul grembo dei clienti). In versione più sofisticata nei locali frequentati solo da chi può spendere e spandere; e più casereccia, man mano che si scende verso i bassi redditi.
Ben lontani dall’erotico immaginario collettivo trasmesso dai due film che più hanno interpretato la lap dance: “Exotica”, del canadese Atom Egoyan, e “So Girls” dell’americano Paul Verhoeven.
A Londra, come in tutta l’Inghilterra, gli strip-pub si moltiplicano. Complici nuove leggi che permettono ampia discrezionalità per le licenze di intrattenimento erotico. Dall’America, la grande catena Spearmint Rhino è sbarcata a far concorrenza a locali d’antico pedigree, come Peter Stringfellows, fondatore degli strip-tease d’alto bordo, oggi divenuti ritrovi trendy e lussuosi per l’alta società, gli avvocati o i finanzieri, salotti discreti dove per entrare si paga un occhio della testa.
Lo strip-pub, invece, non pone barriere di ceto o di portafoglio.Uscito dalla clandestinità, tracima dalla capitale verso le periferie, travolge i pub dei villaggi. Del resto serve davvero poco: basta piazzare un palo e trovare l’artista giusta perché anche la più sgarrupata birreria di borgata si trasformi in uno strip-pub. L’ingresso è gratis; ma per ogni strip bisogna pagare una sterlina. E ce ne può essere anche uno ogni tre minuti, il tempo di una canzone. Il pub ritaglia una commissione più o meno infame sul ricavato delle ragazze. E vende il triplo di birre. A Hillingdon, un villaggio alle porte di Londra, ultimamente ne sono comparsi tre in un colpo solo. E le mogli sono scese in piazza, lamentando la scomparsa dei mariti insieme ai risparmi di famiglia. La lap dance può creare dipendenza psicologica, diventare una vera ossessione. «Molti dei clienti sono habitué», conferma il manager di Browns, istituzione dell’East End di Londra, da sempre meta dei traders della vicina City, il polmone finanziario del Paese.
Browns è a meta strada tra il pub classico e i nuovi azzimati night club. Giganteschi gorilla vigilano all’ingresso, filtrando i clienti. C’è il bancone classico con le spine. Ma l’arredamento è fermo alle discoteche anni ’80: sfere di specchietti riflettono una pioggia rotante di lucine sulla moquette lurida, impianto stereo quasi decente e dj professionisti.
Le ragazze, tutte ventenni, sono molto belle ma non extraterrestri: niente tette pneumatiche tipiche del pole dancing made in Usa, un po’ di cellulite e qualche difetto rassicurante. Molte brasiliane, anche molte inglesi. Ragazze della porta accanto, solo molto più sexy. «Guarda Julie», dice Mark, il manager, indicando una brunona coscialunga: «Non è affatto perfetta, però è sexy da morire, sa quel che fa, è very naughty». Ovvero: impertinente o oscena, a seconda da come si intende questa parola.
La brunona è la più richiesta per le private dance, ovvero il bis della sua performance eseguito per un solo cliente nel retrobottega del locale. Cosa voglia dire “Julie sa quel che fa” lo si capisce solo quando sale in scena. La ragazza non ha bisogno di saper ballare. Lancia una delle sue gambe smisurate contro il palo, appoggia la caviglia all’altezza della sua testa, scioglie il fiocchetto del suo tanga e resta vestita solo di un piercing vaginale. Il suo sesso completamente depilato è a un metro dal naso degli astanti. Ma il clou del suo numero deve ancora arrivare: sempre in spaccata verticale, con contrazioni ritmiche fa ondeggiare tutto il suo corpo, inarca i muscoli e, in un gran finale, strimpella con le lunghe dita affusolate la pallina del suo piercing. E i maschi ai suoi piedi, persi in un torpore da testosterone e alcol, ormai fissano un punto infinito tra le gambe di Julie. Che scende dal palco e si avvicina a uno degli uomini che ha già avvinghiato in uno sguardo predatore durante lo show.
«Private dance?», gli chiede. E l’uomo di mezz’età, visibilmente danaroso nel suo cappotto cammello e completo gessato, la segue senza fiatare oltre le tendine del privé. Il via vai di Julie si ripete una decina di volte. «Quando vedi gli uomini qui, impari a capire cose su di loro che altre donne non immaginano. E ti serve poi nella vita, per evitarli», sentenzia. Vista da vicino Julie è bellissima: bruna, grandi occhi azzurri, pelle perfetta, indossa un delizioso completino rosso leopardato bordato di un nastrino di velluto nero e calza zatteroni di ordinanza in plexiglas da 15 centimetri. Ha 26 anni e racconta che questo mestiere lo fa da tre per pagarsi gli studi universitari. Di soldi ne fa tanti. Quando il locale è pieno, sono 150-200 sterline a numero. La media è sulle dieci esibizioni a sera; poi ci sono quelle “private” a 10 sterline l’una. Più sei brava e più ne fai. E Julie è molto brava. E il suo ragazzo che ne pensa? «Lui non li capisce gli uomini che vengono qui: che senso ha guardare senza poter toccare?».
Spiega Julie Cook, fotografa e autrice di un libro sugli strip-pub, “Baby Oil and Icé”: «Qui gli uomini si sentono al sicuro, sono in uno stato completamente passivo, non avvertono alcuna responsabilità, non devono scegliere. Nello stesso tempo hanno l’illusione di sentirsi superiori alle ragazze nude». Superiorità non è la prima parola che viene in mente guardandoli nel privé. Chi è lo sfruttato e chi lo sfruttatore? Difficile rispondere quando si ha davanti questa virilità ubriaca e guardona. Nella penombra, in un ambiente unico, diversi uomini stravaccati sui divanetti fissano con le mandibole sciolte e gli occhi liquidi le lente evoluzioni delle ragazze. A distanza ravvicinata. Le loro mani sono rigorosamente inchiodate sul divano. Le regole sono ferree: si guarda e non si tocca. Chi sgarra, in un secondo si ritrova catapultato per strada da nerboruti e furiosi gorilla.
«Questo è un posto pulito, e le nostre ragazze sono pulite», spiega il manager: «È così che piace ai nostri clienti». Mark è tra quelli che stramaledicono i “cowboy” dello strip-tease, accusati di approfittare della nuova permissività per aprire bordelli travestiti da strip-pub. Da Browns il confine è nettissimo. Il filtro è continuo, inizia all’ingresso col buttafuori che screma i clienti e continua al bancone del bar. Chi non rispetta l’etichetta è mandato via.Come da regola, niente biglietto d’ingresso, ma è tassativo pagare il pound per le ragazze. È su quello che il locale taglia la sua pingue commissione, almeno 150 sterline a sera per artista.
Il business va a gonfie vele, il locale è sempre pieno, anche a pranzo. Manager, muratori, impiegati, intellettuali, professionisti. L’ossessione per le donne nude è la grande livella per ceti sociali diversi tra loro che fuori dal locale non si sfiorano neanche.Mentre qui, appoggiati al bancone e con una pinta di birra tra le mani, si danno di gomito a commento delle evoluzioni in salsa inglese della lap dance.
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